MULTIPLEX E PROGRAMMAZIONE CULTURALE
(ABBOZZO DI CASE STUDY)
di Alberto Brodesco

The paper ("Multiplexes and cultural programming – Outline for a case study) examines the changings of the current italian cinema-going practice. The programming of the "Warner Village Le Piramidi" – a new multiplex built in the suburban zone of Vicenza (North-East of Italy) – is analyzed and compared to the programmings of the pre-existing old-city cinemas. The reaction of the local public is also studied. Two conclusions can be held: the increase in the number of theatres didn’t produce a rise of films offer; quality and european films didn’t seem to find their place in Warner Village’s screens.

Anche in Italia, ormai da qualche anno, si è resa evidente la necessità di far propria la strada intrapresa nei maggiori Paesi europei per allinearsi alle nuove esigenze, di comodità e di qualità della proiezione, sentite dal pubblico delle sale cinematografiche. L’aumento, negli ultimi anni, del numero degli spettatori pare un dato incoraggiante, che spinge alla modernizzazione della gestione delle sale cinematografiche. Oltre all’adeguamento tecnologico, si rende necessaria anche una valorizzazione in termini comunicativi e relazionali del ruolo della sala, in modo da trasformare la fruizione del film "da routine a evento audiovisivo ad alto contenuto di servizio" (Nelli, 1996, 5).
Sommerso dall’offerta televisiva, il consumatore chiede oggi al cinema qualcosa in più della semplice evasione, qualcosa in più del semplice impegno. Il ‘fai da te’ del videoregistratore lo ha abituato a sentirsi portavoce di una scelta personalizzata di fruizione, a essere parte attiva, capace di sfuggire all’offerta imposta nei processi di costruzione dei palinsesti da tempo libero (Andò, 1999).
L’esigenza di riposizionamento, di riconsegna al cinema di una propria identità mediologica, nasce dal cambiamento dell’immagine del cinema-going nella mente dei potenziali spettatori: il cinema, prima, era visto come divertimento a basso prezzo; ora è considerato film ad alto costo. Da quando il cinematografo ha ammesso a se stesso questa sua nuova debolezza, ha posto le basi per tentare di superarla: non si tratta più di porsi sullo stesso piano della televisione, in bassa competizione con quel mezzo; ci si propone, anzi, di riuscire a differenziare il più possibile il modello della fruizione cinematografica rispetto a quello della fruizione televisiva. Carmagnola e Ferraresi (1992), dopo l’analisi di una serie di interviste in profondità condotte con esperti del settore cinematografico, concludono che l’ambito della differenziazione tra cinema e TV può essere rintracciato nel carattere di evento in grado di offrire una dimensione contemplativa e di concentrazione estetica: l’accento viene così posto sull’esigenza di "immersione profonda" nell’evento, sulla sua sacralizzazione: il cinema – i gestori, gli esercenti – deve coltivare questa distanza proponendo un’offerta realmente diversa, non presentando più solo un contenuto (il film), ma anche un contesto che vada oltre l’anodino carattere di neutralità per insistere sugli elementi che qualificano la visione in sala, in modo da sradicare dalle coscienze il modello di consumo abituale: quello televisivo (1).
Le tendenze attuali dell’esercizio cinematografico possono riassumersi in tre caratteri fondamentali (Nelli, 1996): 1) concentrazione (di schermi all’interno dello stesso edificio, di più cinema da parte dello stesso esercente, concentrazione geografica in più aree urbane); 2) modernizzazione tecnologica (Dolby, multischermo, botteghino computerizzato); 3) integrazione tra distribuzione e esercizio cinematografico – è il caso della Warner Bros, grande casa di produzione e distribuzione, che gestisce in Europa un patrimonio di multiplex in costante crescita –. Il multiplex fornisce inoltre la possibilità di una strategia di saturation selling: invadere il mercato con un nuovo film piazzato in più di una sala, in modo da soffocare ogni concorrenza e ‘creare l’avvenimento’. La strategia di saturation selling richiede uno sfruttamento molto intenso del film nel periodo più breve possibile (Wagstaff, 1999).
L’affermazione, economica e sociale, del multisala, o del multiplex, appare già come definitiva: il modello multisala risulta vincente, perché si fa carico e va incontro alle necessità del fruitore, abituato alla visione domestica, che se va al cinema pretende di incontrare non solo il prodotto filmico, ma anche una serie di comodità aggiuntive: poltrone comode, ottima definizione dell’immagine, aria condizionata, un posteggio per l’auto, pop-corn(2).
Il problema è verificare la possibilità di una conciliazione tra questi modi del rinnovamento e il ruolo artistico-culturale dell’opera cinematografica. In linea teorica la convergenza non appare improponibile: multisala vuol dire maggiore differenziazione dell’offerta, elemento che dovrebbe portare a soddisfare i gusti di un più ampio raggio di persone, compresi coloro che cercano una programmazione culturale.
Nella realtà, le cose risultano più complesse. Vogliamo analizzare il caso del multiplex "Warner Village" del centro commerciale "Le Piramidi", situato a pochi chilometri da Vicenza, aperto nell’ottobre del 1997.
Un monitoraggio dei film proiettati consente di osservare come le nove sale del Warner Village nulla abbiano aggiunto, tuttavia, in termini di offerta filmica, rispetto a quello che era il numero dei film dei vecchi cinema cittadini. Il multiplex proietta gli stessi film del circuito cittadino, magari con tempi diversi, anticipandone l’uscita o tenendoli più tempo, ma la quantità di film disponibili sul mercato è rimasta invariata rispetto all’epoca in cui il Warner Village non c’era. Il cinema delle "Piramidi" non presenta un offerta cinematografica aggiuntiva, ma soltanto una comodità aggiuntiva: pur proiettando lo stesso film, la sala del Warner è piena, mentre i vecchi cinema del centro città rimangono semideserti.
La Figura 1 mostra graficamente come l’offerta dei sei cinema vicentini sia superiore, in termini quantitativi, rispetto a quella del Warner Village. Il grafico riproduce 12 settimane – le linee sull’asse delle ascisse consentono di osservare quante settimane un film rimanga in programmazione – di osservazione comparata dei cinema di Vicenza e del multiplex, in un periodo che va dal dicembre 1998 al marzo 1999. Ogni segmento colorato rappresenta un film. I segmenti bianchi raffigurano i film proiettati esclusivamente nelle sale del multiplex o esclusivamente nelle sale della città. Risulta così agevole verificare le caratteristiche profondamente differenti della programmazione: al cinema del centro commerciale i film, in genere, escono prima (con una o due settimane di anticipo) e soprattutto durano molto di più. La rappresentazione grafica consente di osservare visivamente come la programmazione dei cinema cittadini sia molto più spezzettata: i film durano in genere una, due settimane (solo due film rimangono in programmazione nello stesso cinema per tre settimane e solo un film dura quattro settimane(3)), mentre il Warner consente una programmazione più estensiva, con film che restano in sala anche sei-sette settimane. Il grafico del Warner semplifica leggermente le cose: potrebbe sembrare che un film rimanga nella stessa sala per sette settimane, mentre – si sa – una delle ricchezze e delle possibilità che offre il multiplex è invece quella di poter spostare un film, col passare delle settimane, da una sala più grande ad una più piccola, in modo da ottimizzare il numero delle poltroncine effettivamente occupate.

Figura 1 – I film programmati nel bacino di utenza vicentino (24 dicembre 1998 – 13 marzo 1999)(4)

La netta prevalenza di spazi bianchi dei cinema cittadini mostra come nelle sei sale di prima visione vengano proiettati molti più film che al Warner; l’offerta è nettamente più vasta e variegata. Un cinema come l’Odeon si caratterizza per una programmazione ampia, mutevole e caratterizzata in senso culturale. Per questo la differenziazione rispetto al Warner è così significativa.
I titoli delle "esclusive Warner" e delle "esclusive città" sono indicativi:
Esclusive Warner: Il giocatore (film USA) e Salvate il soldato Ryan (ripresa di un film USA già abbondantemente proiettato);
Esclusive Vicenza: Al di là dei sogni (film USA, probabilmente proiettato anche al Warner, che resiste più a lungo nelle sale cittadine perché vi è arrivato dopo), Svegliati Ned (film irlandese), I fobici (film italiano), My name is Joe (film inglese di Ken Loach), Idioti (film danese di Lars Von Trier), L’assedio (film di Bernardo Bertolucci), Ballando a Lughnasa (coproduzione anglo-irlandese), Velvet Goldmine (film inglese), Train de vie (coproduzione franco-rumena), Il fuggitivo della missione impossibile (film USA), Giallo Parma (film italiano), La figlia di un soldato non piange mai (film inglese), Happiness (film americano indipendente(5)).
È molto importante notare come in 12 settimane di programmazione nelle nove sale del Warner non sia stato proiettato nessun titolo che non sia statunitense o italiano, neppure se si trattava di film "potenzialmente remunerativi", di cassetta, come Svegliati Ned o Train de vie, che hanno avuto in tutta Italia un più che discreto successo di pubblico.
È paradossale osservare come l’aumento delle sale disponibili per lo spettatore vicentino non abbia condotto ad un aumento della gamma di film fra cui poter scegliere: le sale di prima visione sono passate da sei a quindici, ma le nove aggiuntive nulla hanno apportato in termini di offerta.
Lo spettatore del bacino si è comunque dimostrato molto sensibile alla nuova possibilità offerta dal cinema del centro commerciale; segno che è notevole l’attenzione riservata al contenitore, in tempi in cui il contenuto (il film) è, in varie forme, ampiamente disponibile. Naturalmente, notevole peso ha l’"effetto novità" (il Warner Village è di recente apertura). Ma vediamo i dati sui cinema che abbiamo osservato (dal "Giornale dello Spettacolo" del 22 gennaio 1999), risalenti all’anno solare 1998.
Dopo l’apertura del Warner Village di Torri di Quartesolo (nove schermi a sei chilometri da Vicenza), gli spettatori del bacino vicentino(6) sono aumentati (dal 1997 al 1998) del 135 per cento. Un dato esorbitante, definito "incredibile" dallo stesso "Giornale dello Spettacolo": l’aumento più alto di tutta Italia.
Aggiungiamo ora che gli spettatori, in tutta Italia, sono aumentati del 18%. Gli spettatori degli altri cinema del Veneto sono aumentati dell’11%. Risulta ancora più sorprendente, adesso, osservare come i cinema della città di Vicenza abbiano perso il 14% del loro pubblico. Il "cannibalismo" del Warner ha rubato ai cinema già esistenti un potenziale 25-30% di spettatori.
Ernesto di Sarro (presidente dell’ANEC) nota con preoccupazione come mentre gli altri cinema della regione considerata (e in generale in Italia) aumentano i biglietti venduti, in queste città i cinema esistenti imboccano una strada decisamente opposta, di diminuzione del proprio pubblico; (...) da una parte c’è il grande apporto del multiplex all’espansione del mercato, dall’altra parte la crisi – più o meno acuta a seconda delle situazioni particolari – dei cinema esistenti, con conseguenti chiusure soprattutto nelle sale collocate nel centro delle città e con qualche preoccupazione – anche a livello dei pubblici poteri, locali e nazionali – per le implicazioni socio-urbanistiche per la vivibilità dei centri urbani. (di Sarro, 1999, 2)
Il presidente dell’ANEC manifesta una serie di preoccupazioni: per il drastico calo delle vendite nelle vecchie sale, per la paventata chiusura di cinema incapaci di reggere la concorrenza, per la desertificazione delle città (le conseguenze, in termini di sociologia urbana, vanno al di là dell’ambito settoriale); si augura che venga attuata anche in Italia una normativa per regolamentare l’apertura di nuovi multiplex. In Francia, infatti, si è già provveduto a stabilire la necessità di particolari autorizzazioni per aprire locali con più di 1000 posti; il Centre National pour la Cinématographie, inoltre, ha annunciato lo studio di piani di sostegno per i cinema indipendenti. In Germania la proliferazione dei multiplex sta ormai mettendo in crisi anche le multisale di recente realizzazione: nel primo semestre del 1998, per la prima volta da molti anni, il saldo tra sale aperte e sale chiuse è risultato essere in passivo(7).
L’ANEC lamenta la mancanza di interventi governativi in proposito, perché anche in Italia – a parere dell’ANEC – "si deve evitare che questo nuovo e valido strumento venga utilizzato senza regole e con grande pericolo di una crescita disordinata e non razionale" (di Sarro, 1999, 3).
Nessuno vuole impedire l’apertura e la diffusione dei multiplex: sono prodotti importanti per qualsiasi mercato, si tratta piuttosto di utilizzarli nel modo migliore come strumento validissimo di aumento dell’offerta di schermi e di film, nei territori in cui è insufficiente e di utilizzazione molto ponderata nelle zone in cui il loro avvento potrebbe – nel periodo medio-lungo – rivelarsi causa di inconvenienti gravi da vari punti di vista. (di Sarro, 1999, 3)
Il fatto che Francia e Germania siano, per quanto riguarda l’evoluzione del cinematografo, più avanti rispetto all’Italia, dovrebbe farci riflettere su quello che gli esercenti nostrani dovranno affrontare(8). E se – come sembra – le multinazionali del multiplex dovessero impoverire piuttosto che aumentare l’offerta di film sul mercato, se si dovesse trattare di un nuovo tipo di concorrenza che non migliora il prodotto, ma va anzi contro gli interessi del consumatore, il problema non rimarrebbe circoscritto ai soli esercenti ma dovrebbe essere sentito da tutti coloro che amano andare al cinema.
Ma l’assenza, nei multiplex, di una programmazione di qualità va interpretata anche alla luce di altre considerazioni. La vendita di pop-corn, bibite, lecca-lecca sembrerebbe essere inversamente proporzionale al valore del film. E dato che l’incasso derivante dalle vendite di alimenti è importante, nei multiplex, quanto la vendita dei biglietti, non sarebbe la paura di aver le sale vuote ad allontanare i "buoni" film dai multiplex, ma il terrore di vedere le sale piene di gente che guarda solamente il film, senza consumare nulla.
Alberto Pasquale (1999), direttore marketing della Warner Bros Italia, riflette sul fatto che in USA il costo dei biglietti sia, negli ultimi anni, addirittura decresciuto. C’è una politica di diversificazione dei prezzi, permessa dalla libertà concessa dai distributori agli esercenti, che decidono, secondo i principi del marketing mix, il prezzo da fissare. In questo modo, gli esercenti possono avere interesse ad abbassare il prezzo, non tanto o non solo per riempire le sale, quanto per riempire il bancone del bar. Portando il ragionamento all’estremo, il film può esser considerato un "prodotto-civetta" (loss-leader), un prodotto venduto a prezzo basso per invogliare un acquisto a più alto ricarico: gli incassi dei film vanno divisi con i distributori, mentre i ricavi della vendite del bancone-bar restano all’esercente, che ha interesse a riempire il suo cinema anche in vista dei consumi.
Ma va ricordato che il consumo dei pop-corn varia in funzione del film: la platea di un film di bassa qualità mangia molti più pop-corn di una platea di un film di Kiarostami. Il film di Kiarostami non può, quindi, essere utilizzato come prodotto-civetta, dato che un pubblico impegnato non è attratto, ma infastidito, dal consumo di pop-corn in sala(9).
Ed è questa una delle conseguenze più evidenti, persino più drammatiche, della differenziazione dei pubblici: il film di qualità tenderebbe ad auto-escludersi dalle nuove cattedrali cinematografiche non perché non sia in grado di riempire le piccole sale dei multiplex, ma perché le caratteristiche dei suoi spettatori non consentono di incrementare gli incassi provenienti dal film con l’acquisto di prodotti che consentano un utile suppletivo, da non dividere con gli altri partecipanti alla catena di sfruttamento economico dell’opera cinematografica(10).
Paradossalmente, sembra riproporsi alla fine degli anni Novanta un modello di cinema-going per certi versi simile a quello degli anni d’oro del cinema: come lo spettatore degli anni cinquanta andava al cinema, così oggi si va al Warner, senza curarsi troppo di quello che si va a vedere: andare al multiplex è come accendere la televisione, o come avere in mano un telecomando (Delmestri, 1992); si può scegliere il film dopo aver scelto di andare al cinema, che è quel che quasi sempre avviene quando si parla di televisione (si accende la TV e poi si decide cosa guardare). Il medium torna a essere più importante del messaggio.

Aggiungiamo alcuni dati. L’AGIS (http://www.agisweb.it) ci informa che Torri di Quartesolo (il comune del Warner Village vicentino) è la dodicesima città cinematografica d’Italia. Nel periodo tra l’1 agosto 1998 e il 20 giugno 1999 sui 9 schermi del Warner Village hanno proiettato 140 film, con 782.518 presenze, per un totale di 9 miliardi e venticinque milioni di incassi. Per un confronto osserviamo la situazione dell’intera città di Padova:
PADOVA: undicesimo posto in classifica, 18 schermi, 313 film proiettati, 891.986 spettatori paganti, £9.446.306.000 di incassi. In quanto a incassi, siamo poco oltre quelli del Warner Village, che si colloca prima di grandi città con decine di sale cinematografiche e un numero maggiore di schermi (prima dei 17 schermi e dei 222 film di Catania). I nove schermi del Warner, in definitiva, incassano quasi quanto i 18 di Padova, pur avendo mostrato 173 film in meno.

Tabella 1. Schermi, numero di film, incassi e spettatori del periodo tra l’1 agosto 1998 e il 20 giugno 1999
13 CATANIA 17 222 £ 8,395,740,000 955,930
 
Città  Schermi  N. Film  Incasso  Spettatori
1 ROMA  182  458  £104,554,800,000 9,366,716
2 MILANO 63 411 £ 63,682,270,000  5,576,246
3 TORINO 46 360 £ 32,773,710,000  3,343,322
4 BOLOGNA 44 377 £ 24,902,670,000 2,342,914
5 FIRENZE 42 300 £ 24,529,700,000 2,237,567
6 NAPOLI  39 278 £ 23,649,580,000 2,207,349
7 GENOVA 31 322 £ 16,542,870,000 1,638,058
8 PALERMO 22 251 £ 15,788,720,000  1,521,586
9 MODENA 24 251 £ 10,364,980,000  926,403
10 BRESCIA 20 247 £ 9,507,811,000  823,380
11 PADOVA  18 313 £ 9,446,306,000  891,986
12 TORRI QUAR.  9 140 £ 9,025,257,000  782,518
13 CATANIA  17 222 £ 8,395,740,000  955,930
14 MONZA 10 157 £ 8,326,921,000  787,302
15 VERONA 12 227 £ 7,907,284,000  734,563
16 MELZO  7 129 £ 7,795,429,000 745,272
17 PARMA  13 213 £ 7,655,865,000 662,268
18 MESTRE  9 238 £ 7,083,113,000  659,002
19 BARI  15 229 £ 6,725,939,000  636,857
20 BERGAMO  9 178 £ 6,626,331,000  600,870
21 CASAMASSIMA  9 169 £ 6,433,372,000  592,900
22 TREVISO  7 197 £ 5,921,784,000 561,837
23 LUGAGNANO  8 152 £ 5,719,277,000  500,297
24 FERRARA  12 205 £ 5,589,657,000  538,463
25 PESCARA 8 163 £ 5,579,029,000 579,610

Solo qualche ulteriore commento alla tabella: riteniamo che la cosa più interessante sia il confronto tra la posizione in classifica, il numero degli schermi e il numero dei film proiettati: città con un numero più elevato di schermi (e anche con un maggior numero di abitanti) si trovano più indietro rispetto a Torri di Quartesolo. Segno dell’altissimo sfruttamento da parte del Warner Village delle sale di cui è dotato.
È interessante notare come molte piccole città, o paesi-satellite di grandi città, dove sono state costruiti i multiplex, si trovano in classifica: Torri di Quartesolo, Monza, Melzo, Casamassima, Lugagnano di Sona.
Il numero di film proiettati in dieci mesi al Warner Village è inferiore solo a quello di Melzo, altra sede di un multiplex, l’"Arcadia". Gli otto schermi di Pescara, che hanno guadagnato complessivamente quasi quattro miliardi in meno rispetto a Torri di Quartesolo, hanno proiettato 23 film in più. I multiplex non hanno bisogno di proiettare molti film, dato che riescono a riempire le sale anche con lunghe teniture. Possono spostare infatti – come detto – i film da sale più grandi a sale più piccole, col passare del tempo. Nessuna offerta filmica aggiuntiva, quindi. Ma occorre anche dire che, dal punto di vista economico, nulla sembrerebbe indurre i multiplex a cambiare la programmazione.



Note:
1. Si potrebbe obiettare alle considerazioni di Carmagnola e Ferraresi che il multiplex, per certi versi, offre un’omologazione alla visione televisiva, ad esempio quando asseconda l’abitudine a mangiare durante la proiezione o quando sceglie di interrompere il film con la pausa fra primo e secondo tempo. La proposta dei multisala, comunque, è quella di consumazioni (pop-corn etc.) che in casa, in genere, non sono frequenti.
2. Per far capire come anche la possibilità di comprarsi i pop-corn sia divenuta una caratteristica cui il pubblico non è disposto a rinunciare, citiamo il caso del cinema Astra di Trento, costretto a dotarsi di bancone-bar una volta accortosi che i suoi spettatori passavano a rifornirsi di pop-corn nelle altre sale cittadine prima di andare a vedere il film in un cinema che ancora non li vendeva.
3. Rimangono in programmazione tre settimane C’è posta per te all’Odeon e Vi presento Joe Black al Palladio; Così è la vita rimane al Roma per quattro settimane.
4. L’osservazione è stata fatta il sabato di ogni settimana, attraverso la lettura delle pagine degli spettacoli sul televideo regionale. Non sono considerate, quindi, le eventuali variazioni intra-settimanali o i cineforum e le serate speciali (il cinema Odeon riserva alle rassegne due giorni della programmazione feriale). Il televideo per tre volte ha attribuito – senza nessuna specificazione di orari differenziati – al Warner 10 o 11 film programmati. La scelta dei 9 film da inserire nel grafico è stata fatta secondo criteri di coerenza con la programmazione della settimana immediatamente precedente o successiva.
5. Sarebbe molto interessante approfondire il tema dei rapporti tra la Warner Bros in quanto società produttrice e i cinema gestiti da questa multinazionale: quanto spazio occupano i film Warner all’interno della programmazione del Warner Village? Quanto spazio rimane al cinema americano indipendente? Quali sono i meccanismi economici che regolano la scelta dei film da programmare? Quanto influisce sulla libera concorrenza questo genere di concentrazione detta verticale (produzione-distribuzione-esercizio)? Alcuni studiosi ritengono che il clima politico in Occidente si sia dimostrato negli anni Ottanta e Novanta molto mite nei confronti dei monopoli. “Sicché, per potenziare i loro mercati esteri, le Majors hanno iniziato un programma di costruzione di multiplex (...) moderni e tecnologicamente bene attrezzati (...), riempiendoli, naturalmente, dei loro film” (Wagstaff, 1999, 883).
6. Bacino: dati del multiplex insieme a quelli della città.
7. Cfr. Blatt, Cothat (1998).
8. Sui multiplex, comunque, le opinioni sono contrastanti. Riportiamo due pareri citati in Delmestri (1992, 52). Kartozian, presidente della National Association of Theater Owner-USA: «Io credo che i multiplex ringiovaniranno l’intera industria del cinema in Europa. Se si perde questo treno, si può solo aspettare la scomparsa delle sale.» Gerd Politt, esercente cinematografico di Moers, RFT: «Io credo che i multiplex distruggeranno la cultura del cinema nelle città. I cinema nei centri cittadini non potranno più sopravvivere con i visitatori loro rimasti. Lo stile di vita urbano soffrirà di questa evoluzione.»
9. Inseriamo qui il commento, tra il serio e il faceto, di James Schamus (produttore di Sense and Sensibility) datato 1998, e citato in Wagstaff (1999, 487): «Il vero affare delle sale cinematografiche non è quello della proiezione del film; se fosse così, sarebbero fallite molto tempo fa. Il loro affare molto più remunerativo invece è quello di vendere a prezzi astronomici bicchieri di carta pieni di acqua zuccherata a gente che trascorre seduta in una stanza buia giusto il tempo necessario per accorgersi che il livello di zuccheri nel sangue ha bisogno di essere ripristinato.
«L’ontologia economica del cinema d’oggi: quello che chiamiamo ‘il cinema’ non esiste. Perché quella serie di ombre proiettate sullo schermo in fondo alla sala da consumo d’acqua zuccherata non è per niente un film, è semplicemente la pubblicità di quello che hai realmente finanziato, un programma televisivo e video (con in più, se hai un successo davvero travolgente, un video-game, uno zainetto per la scuola, una giostra al luna-park e, nel caso di Sense and Sensibility «un piccolo scrigno elegante, guanti e gioielli non compresi»».
10. Ci permettiamo, in nota, di rilevare ironicamente come la vocazione a puntare sugli istinti primari (mangiare, bere, stare comodi) contrasti con la concezione «alta» del ruolo del cinema, visto, soprattutto in area marxista (da Lenin a Walter Benjamin al presidente della Federazione Italiana Circoli del Cinema Filippo De Sanctis), come strumento pedagogico di democratizzazione e progresso, avente la finalità di «far crescere il popolo nell’intelligenza della vita
 
 
 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

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Alberto Brodesco lavora come tecnico laureato presso il Dipartimento di Scienze Umane e Sociali dell’Università di Trento. Si è laureato in Sociologia nel settembre 1999 con una tesi dal titolo: "Il pubblico cinematografico tra consumo e pratica culturale: indagine su due modelli di spettatore
E-mail: alberto.brodesco@soc.unitn.it