Sotto l’Alto Patronato del Presidente delle Repubblica Italiana, Carlo Azeglio Ciampi
Sous le Haut Patronage du Président de la République Française, Jacques Chirac
Sotto il Patrocinio del Parlamento Europeo

XV FESTIVAL INTERNAZIONALE DI CINEMA E TELEVISIONE

 

Lunedì 22 Martedì 23 ottobre 2001

ACCADEMIA DI FRANCIA – VILLA MEDICI

Nell’ambito di Eurovisioni si svolge da cinque anni il progetto "Studenti Europei a Eurovisioni", coordinato da Francesca Minutillo-Turtur.
Di seguito troverete le relazioni e i commenti dei ragazzi che hanno partecipato quest’anno,se siete interessati a contattarli scrivete a francescaminutillo@tiscalinet.it

 

SESSIONE D’APERTURA DEL CONVEGNO

"Vent’anni dopo: Diversità e Globalismo"

Partecipanti:

Alain ELKANN, Segretario Particolare On. Vittorio Sgarbi - Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Giorgio RUFFOLO, Vice Presidente Commissione Cultura Parlamento Europeo
Massimo FICHERA, Vice Presidente ISIMM
Patricia HODGSON, Chief Executive Independent Televisions Commission
Henry INGBERG, Segretario Generale Ministère de la Communauté Française Wallonie-Bruxelles
Bernard MIYET, Presidente Direttorio SACEM e Presidente Eurovisioni
Mario MORCELLINI, Direttore Facoltà Sociologia La Sapienza
Jean STOCK, Segretario Generale EBU/UER

Ricerca "Aiuti di Stato e mercato audiovisivo" Mediaset/Università Luigi Bocconi di Milano, presentata da Prof. Fabrizio PERRETTI, Area Strategia SDA Bocconi, Milano
Rapporto dello European GATS Group , presentato da Luciana CASTELLINA, AGENZIA ITALIA CINEMA

 

ATELIER MUSICA

Presidente: Bernard MIYET
Relatore: Catherine KERR-VIGNALE, Direttore Generale Aggiunto SACEM

Ricerca: L’effetto di "20 Anni di Radio Libere" in Francia, presentata da Bruno LION, Commissione Varietà SACEM

Partecipanti:

Alessandro CONTE, Area Immagine SIAE
Antonino DE SIMONE, Capo Dipartimento Spettacolo dal Vivo Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Bruno LION, Commissione Varietà SACEM
Giovanni MONTEFUSCO, Redazione Giornalistica Radio Meridiano 12
Patrick PRINTZ, Chargé de Mission Wallonie-Bruxelles-Musique
Sabina RICCARDELLI, Direttore Sessione Musica SIAE
Jean Luc SOULE, Chargé de Mission pour les activités musicales Académie de France à Rome

 

ATELIER FICTION

Presidente: Marc NICOLAS, Direttore Generale Aggiunto CNC
Re
latore: Jean-Noel DIBIE, Delegato alla Direzione dello sviluppo internazionale FRTV

Ricerca: Situazione finanziaria delle imprese della fiction europea, presentata da André LANGE, Osservatorio Europeo dell’Audiovisivo.
Turbolent environment dell’industria audiovisiva europea
, presentata da Milly BUONANNO, Università di Firenze – Coordinatrice EUROFICTION;

Partecipanti:

Jacques BRIQUEMONT, Delegato alle organizzazioni europee UER
Milly BUONANNO, Università di Firenze – Coordinatrice Eurofiction
Joao CORREA, Segretario Generale FERA
Didier EIFERMANN, Direttore Studi CSA
Stefania ERCOLANI, SIAE
Michel FANSTEN, Chargé de Mission Ministère de la Culture et de la Communication
André LANGE, Osservatorio Europeo dell’Audiovisivo
Roberto LEVI, Presidente APT
Luca MILANO, Responsabile Analisi e Modelli Produttivi RAI FICTION
Patrick QUINET, Produttore Artemis Production
Jaume VILALTA GONZALEZ, Consiglio Direttivo Corporacio de Catalunia

ATELIER CINEMA

Presidente:  Olivier CARMET, Direttore Generale SACD
Relatore: Gaetano STUCCHI, Consulente UER

Ricerche: Les films Européens en USA: distribution cinématographiques Intervento di J.Ph. WOLFF, Vice Presidente MEDIA Salles
European Cinema Yearbook – 2001 advance edition, presentato da Elisabetta BRUNELLA, Segretario Generale MEDIA Salles.

Partecipanti :

Barbara BETTELLI, Direzione Affari Istituzionali Tele+
Lucia BISTONCINI, Direttore Sessione Cinema SIAE
Jordi BOSCH I MOLINET, Segretario Generale RTVE
Elisabetta BRUNELLA, Segretario Generale Media Salles
Martin CARR, Produttore Destiny Films
Luciana CASTELLINA, Presidente Agenzia Italia Cinema
Enzo CIARRAVANO, Regione Lazio
Joao CORREA, Segretario Generale FERA
Michel FANSTEN, Ministère de la Culture et de la Communication
Romano FATTOROSSI, Presidente AIACE-INVIDEO
Giancarlo GUASTINI, Direttore Prodotto Cinema STREAM
Peter KRUGER, Responsabile TVIP Tiscali
Walter LEROUGE, Direttore Generale EUREKA Audiovisuel
Michele LO FOCO, Membro Agenzia Italia Cinema
Francesco MASELLI, Chargé aux Rélations Européennes FERA
Davide G. ROSSI, Direttore Generale Univideo
Rossana RUMMO, Direttore Cinema Ministero Beni e Attività Culturali
Robert STEPHANE, Presidente BECT
Miquel RENIU TRESSERES, Corporaçio de Catalunia
Pierre TODESCHINI, Direttore Film Festival Italien
Jens ULFF-MOLLER, FERA
Angelo ZACCONE TEODOSI, Presidente ISICULT
Daniel ZIMMERMANN, Vivendi
Vincenzo VITA, Direzione Democratici di Sinistra

 

SESSIONE DI CHIUSURA

Parlamento Italiano
Martedì 23 Ottobre 2001

Presentazione dell’Annuario Statistico " European Cinema Yearbook " 2001 Advance Edition di Media Salles da Elisabetta BRUNELLA, Segretario Generale e Joachim Ph. WOLFF, Vice Presidente
Presidente: Bernard MIYET, Presidente Direttorio SACEM e PresidenteEurovisioni

Relatori :

Per l’Atelier Musica : Catherine KERR VIGNALE, Direttore Generale Aggiunto SACEM
Per l’Atelier Fiction : Jean-Noel DIBIE, Delegato alla Direzione dello Sviluppo Internazionale FRTV
Per l’Atelier Cinéma : Gaetano STUCCHI, Consulente UER

Partecipanti:

Henry INGBERG, Segretario Generale Ministère Communauté Française Wallonie-Bruxelles
Vittorio SGARBI, Sottosegretario Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Michèle COTTA, Direttrice France 2
Javier GONZALEZ FERRARI, Direttore Generale RTVE
Giancarlo INNOCENZI, Segretario Ministero Comunicazioni Italia
Roberto ZACCARIA, Presidente RAI
Stefano ROLANDO, Direttore Consiglio Regionale Lombardia

 

LAVORI STUDENTI

SESSIONE D’APERTURA DEL CONVEGNO "Vent’anni dopo: Diversità e Globalismo"
Daniela Celotto, Mariangela Piersanti, Damiano Ricci

La tragedia dell’undici settembre e il successivo attacco nei cieli dell’Afghanistan hanno incarnato l’immagine concreta di due fenomeni che già da tempo attraversavano le culture di massa, le loro industrie e le loro economie: la globalizzazione e le diversità culturali.
La rappresentazione silenziosa del Boeing 767 sulla prima delle due torri gemelle, la sua immagine ridotta ad un visual-effect, hanno destato le coscienze e permesso una pur parziale assunzione di consapevolezza da parte dell’opinione pubblica riguardo l’esistenza e la concretezza simbolica dei due fenomeni.
In conseguenza di questi avvenimenti si delinea al pubblico, per la prima volta, una mappa geopolitica finora poco chiara ai suoi occhi, che dispiega le forme del villaggio globale.
La globalizzazione insomma assume uno spessore nuovo e viene finalmente percepita come un fenomeno complesso che, lungi dall’essere un fatto economico, culturale, mediatico o tecnologico, diventa uno spazio dove tutti questi aspetti convergono e assumono direzioni diverse e impreviste.
Questo sfondo complesso è al centro del convegno "Vent’anni dopo: Diversità e Globalismo", dedicato come ogni anno alla riflessione e al dibattito su tematiche legate al mondo dell’audiovisivo, ( new entry: la musica) alle sue industrie e ai suoi mercati.
È possibile esportare un modello di civilizzazione, come è emerso dalle parole forse fraintese del nostro Premier, oppure è necessario un dialogo più profondo tra le culture che permetta una coesione profonda nel rispetto delle diversità, delle contaminazioni e delle resistenze? Come operare in particolare nel settore dell’audiovisivo perché la comunicazione assuma forme globali e allo stesso tempo preservi esigenze locali?
"Quando il Comitato Direttivo di Eurovisioni scelse il tema per questa edizione – scrive Giacomo Mazzone, Segretario Generale di Eurovisioni – i fatti di Goteborg e di Genova non erano ancora accaduti, l’attacco a Manhattan e quello a Kabul erano ancora scenari inimmaginabili" eppure il problema era già evidente in tutta la sua chiarezza e ineluttabilità.
Nei primi interventi introduttivi che hanno preceduto il lavoro dei diversi atelier (cinema, musica, televisione), questo problema è stato affrontato nella complessità dei suoi aspetti generali.
Il primo a proporre la sfida è Mario Morcellini che si è riallacciato ai tragici fatti di New York. Essi hanno rimesso al centro i problemi della comunicazione globale come elemento di affinità sociale ma anche come terreno di conflitto, la comunicazione è il settore dove più emergono le spinte della cultura e dell’economia globali.
L’intervento di Morcellini ha misurato la "temperatura emotiva" dell’audience del convegno e ha creato un ponte verso ciò che, più concretamente è stato oggetto di approfondimento da parte di ciascun atelier.

Bernard Miyet, presidente di Eurovisioni, ha tracciato il terreno d’indagine:
"Cosa è avvenuto negli ultimi vent’anni nel settore dell’audiovisivo e nell’industria culturale?"
La forte spinta modernizzatrice della tecnologia e la rottura delle barriere geografiche determinata dall’impulso sempre più forte dei mezzi di comunicazione ha permesso una condivisione globale di sistemi e di prodotti anche culturali che hanno posto delle sfide nuove ai sistemi industriali nazionali mettendoli di fronte ad un bivio.
Da una parte si afferma una spinta verso l’omogeneizzazione e la concentrazione dei comparti, soluzione dettata dalla necessità di rispondere all’avanzata di prodotti e sistemi dell’industria americana dall’altra si afferma una spinta verso la preservazione e la difesa delle identità culturali che rappresentano la vera ricchezza di un sistema globale, il motore che permette un vero e proprio scambio di simboli e miti che costituiscono la base dell’innovazione e della comunicazione.

Massimo Fichera, Vicepresidente ISSIM, completa idealmente il pensiero del presidente Miyet: "La globalizzazione – dice – offre una serie di strumenti di carattere tecnico, commerciale e culturale, che possono essere usati per omogeneizzare e diversificare", l’importante è dirigerli nella giusta direzione e mantenere viva la voce di popolazioni e sistemi culturali diversi.
Il vantaggio economico e culturale degli Stati Uniti si è affermato proprio grazie ad una precoce intuizione del legame tra cultura ed economia. Essi hanno interpretato il fenomeno della globalizzazione dei mercati incorporando la cultura all’interno di prodotti e esportandola attraverso un’industria strutturalmente differente dalle piccole industrie nazionali.
Anche il prof. Fabrizio Perretti, docente all’Università Bocconi di Milano, presentando i dati della ricerca, commissionata da Mediaset, sugli effetti della legislazione Italiana ed Europea sul principio dell’ "eccezione culturale", ha riscontrato una precoce intuizione degli Stati Uniti nel far circolare la cultura attraverso processi economici e il ritardo dell’Europa determinato da una polarizzazione continua da parte delle istituzioni nazionali e comunitarie delle due anime di ogni prodotto della comunicazione e dell’audiovisivo in particolare. Cosa accade oggi in Europa, altro importante centro economico e culturale nello scacchiere globale e soggetto principale del dibattito?
La competitività con il sistema industriale americano pone dei grossi interrogativi su come interpretare la globalizzazione. Le condizioni storicamente create pongono sotto gli occhi una situazione di forti disomogeneità strutturali, che riguardano tutti i comparti. Alla base c’è la mancanza di un’integrazione fra i sistemi industriali nazionali e i differenti segmenti dell’industria culturale per arginare la forza del colosso made in USA.
"L’Unione Europea - sostiene Giorgio Ruffolo, Vice Presidente della Commissione Cultura del Parlamento Europeo – ha più premi Nobel, più orchestre, più scrittori e artisti di ogni altro aggregato mondiale, compresi gli Stati Uniti", questo valore potenziale spesso non viene espresso per la mancanza di una vera integrazione culturale dei paesi membri. Una tra le tante cause identificate da Ruffolo è lo sviluppo istituzionale di una coscienza solamente economica da parte dei 15 paesi membri, sarebbe invece opportuno interpretare l’Europa non solo come spazio economico ma anche come forte aggregato culturale.

Luciana Castellina, Presidente Agenzia Italia Cinema, insiste su un’altra causa molto importante: la mancanza di una circolazione culturale interna ai paesi dell’Unione, ostacolata dall’atteggiamento aggressivo delle majors nell’esportazione dei loro prodotti. L’integrazione orizzontale e verticale fra i rami delle filiere produttive e fra i diversi comparti dell’industria (musica, cinema, televisione, new media), fanno delle majors americane dei veri e propri conglomerati multinazionali che si impongono sui mercati europei con la forza del loro potere monopolistico.

Tutti i partecipanti all’apertura del convegno sono comunque d’accordo su un punto: la specificità di un Europa unita sul piano culturale ed economico risiede comunque nelle sue diversità nazionali interne. Questa frammentazione deve smettere di essere un punto di debolezza ma deve costituire un vantaggio competitivo per l’industria culturale, stimolando i mercati interni alla fruizione di prodotti differenziati che possano competere alla pari con l’industria statunitense. A tal proposito Henry Ingberg, Segretario Generale Communauté Française Wallonie-Bruxelles, sostiene che "Il Consiglio Europeo dei Ministri della Cultura deve portare alla creazione di un’identità culturale ed economica sempre crescente, incoraggiando quelle situazioni che porteranno ad un settore audiovisivo maggiormente competitivo".

Queste sono state le premesse generali che hanno introdotto i lavori degli atelier.

Al loro interno i problemi generali della globalizzazione nel sistema audiovisivo, dell’atteggiamento statunitense e delle risposte comunitarie sono stati discussi relativamente ad ogni singolo comparto industriale

 

 

ATELIER CINEMA
(Claudia Antonucci, Mara Bruno, Maria Elena Micheli, Roberta Pirone, Damiano Ricci)

In linea con l’intento pragmatico del termine che lo definisce, l’atelier sul cinema organizzato da Eurovisioni ha evidenziato nella loro complessità i diversi aspetti che fondano il dibattito su globalismo e diversità culturale nel settore, delineandone i possibili sviluppi e le auspicabili soluzioni.
Oliver Carmet ha coordinato l’incontro che nel pomeriggio ha messo a confronto numerosi addetti ai lavori, esperti e consulenti esterni provenienti dalle società europee che operano nella produzione e distribuzione cinematografica e nei mercati ancillari alla sala dell’ Home video e delle pay tv.
Carmet ha tradotto i temi generali trattati nella sessione inaugurale della mattina nel contesto complesso e contraddittorio del cinema europeo, partendo da alcuni dati emblematici: a fronte di un ampliamento del mercato cinematografico, da 622 milioni di biglietti staccati nel 1985 a 844 nel 2000, il 75% di questa cifra è in mano alle industrie statunitensi.

Le statistiche dell’European Cinema Yearbook 2001, l’annuario di MEDIA Salles presentato da Elisabetta Brunella durante il Festival, riflettono inoltre una crescita generalizzata ma geograficamente disomogenea del consumo di prodotti in sala rispetto al 2000 dal momento che, ai tassi di crescita variabili di alcune cinematografie si contrappongono le allarmanti flessioni di altre.
Le situazioni maggiormente positive si hanno in Irlanda (+ 20% rispetto al ‘99), Paesi Bassi (+ 16 %), Belgio, Austria e Francia (+ 8%). Cali vistosi sono riscontrati invece in Danimarca, Islanda e Portogallo oltre che in Europa Orientale (- 3%) che, come sottolineato anche da Walter Lerouge, direttore del programma europeo Eureka Audiovisuel, costituisce un mercato importante dove investire per lo sviluppo dell’intero settore.

Romano Fattorossi, Presidente AIACE-INVIDEO, ha ultimato il quadro riferendo sulla percentuale dei film europei nel mercato passata, nell’ultimo anno, dal 29 al 22%.
All’inesorabile evidenza dei dati si aggiunge poi una delle tipiche tendenze della globalizzazione dei mercati: l’invasione di multinazionali che, grazie alla frammentarietà delle aziende nazionali europee assumono un vantaggio competitivo nella commercializzazione dei loro prodotti e determinano una situazione di costante e progressiva disomogeneità economica e culturale.
Sui rischi e sulle minacce di questa disomogeneità s’innestano quindi due interrogativi: come conciliare la portata globale delle concentrazioni economiche e il localismo delle specificità nazionali? Qual è il ruolo del soggetto politico economico e culturale europeo nella trasformazione del settore cinematografico in sistema audiovisivo?
Senza dubbio, una delle ragioni dello stato di precarietà del cinema europeo, risiede nell’inconciliabilità di vedute di chi ha sempre difeso il carattere marcatamente artigianale dell’opera cinematografica (ci riferiamo a quanti come Citto Maselli, si sono sempre battuti per un cinema motore di sviluppo sociale prima ancora che economico) e chi ha fatto dell’entità dei budget e del numero di spettatori i parametri del successo di un prodotto cinematografico.
Secondo Gaetano Stucchi il primo passo da compiere per l’emancipazione del cinema europeo dalla subalternità al modello americano è proprio l’integrazione tra tre dimensioni del dibattito: economica culturale e concorrenziale: "non un’omologazione ma un’armonizzazione delle diverse visioni dell’industria cinematografica". L’industria europea deve, insomma, dotarsi di adeguati strumenti finanziari e politici per fronteggiare "ad armi pari" il colosso Hollywoodiano e gestire in maniera più proficua il proprio mercato che "regala" agli Stati Uniti il 46% degli introiti complessivi dell’industria e che frutta, ogni anno, 70 mld di $ (Romano Fattorossi).
Cifre rese ancora più eclatanti se confrontate con il 2% coperto dalle produzioni europee nel mercato statunitense!
D’altro canto, il vantaggio competitivo del cinema made in USA fa leva proprio sulle debolezze strutturali del modello europeo.
Come ha evidenziato Jean Moller "il predominio degli Stati Uniti è frutto di una situazione monopolistica" in cui l’integrazione verticale dei rami della filiera cinematografica -produzione, distribuzione e esercizio- ha assicurato un controllo totale del mercato interno ed ha contemporaneamente fornito le risorse necessarie ad una delocalizzazione delle proprie strutture.
Come è noto, le politiche protezionistiche delle Majors su scala nazionale, ad esempio il rifiuto del doppiaggio e della sottotitolazione delle opere provenienti dall’estero, si sono sempre coniugate con quelle liberiste su scala internazionale sortendo effetti moltiplicatori sia sul piano economico che su quello culturale.
La realizzazione di prodotti ad alto budget, supportata dal dominio di tutti i canali distributivi e da un immaginario collettivo declinato in tutte le lingue del mondo fanno del sistema audiovisivo statunitense la seconda voce delle entrate dell’economia americana.
Alla luce di quanto fin qui affermato sembrerebbe difficile, se non impossibile, credere ad un modello d’industria alternativo in grado di conseguire gli stessi risultati di quello statunitense. Ci si potrebbe "azzardare" ad individuare nella varietà linguistica e culturale delle cinematografie europee il principale ostacolo alla diffusione dei propri film…
Fortunatamente non è così!
Una prima –rassicurante!- inversione di rotta da un pericoloso processo di omologazione culturale -prima ancora che economica- giunge dall’affermazione di Meyet: "Non bisogna pensare ad un mercato mondiale ma al mondo come diversi mercati".
E quindi diversi modelli culturali, diverse esigenze di consumo, diversi film.
Se il cinema europeo non riesce a circolare, insomma, non bisogna solo o necessariamente cambiare il prodotto ma rafforzare i canali, liberarne l’accesso.
Secondo Rossana Rummo, a capo della Direzione cinema del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e Luciana Castellina, presidente di Italia Cinema, l’anello debole della filiera cinematografica europea è, infatti, quello della distribuzione.
L’espansione geografica e tecnologica dei mercati, con l’introduzione di nuovi canali di sfruttamento del film rappresenta un’opportunità di riscatto per le cinematografie europee (grazie anche all’abbattimento dei costi distributivi favorito dalle reti digitali) ma rischia di trasformarsi in un’ulteriore cassa di risonanza dell’ego hollywoodiano.
D’altro canto, riferendosi all’attuale configurazione del mercato, in cui ogni canale diventa vettore di prodotti specifici e diversi (pensiamo alla differenza che c’é tra un film confezionato e fruito in DVD ed un film proiettato in sala), e in cui il consumo diventa sempre più segmentato, Piece ha sottolineato invece la necessità per le cinematografie europee di adottare strategie di diversificazione e affiancare alle produzioni indipendenti fortemente connotate, prodotti transnazionali dai grandi budget per rispondere con successo alle esigenze dei diversi segmenti di pubblico.
Dunque -rifacendoci alle tre dimensioni del dibattito evidenziate da Gaetano Stucchi-, urgono investimenti, regole e una politica quadro in grado di favorire un’effettiva competitività nel mercato, di combinare dinamismo economico e sperimentazione culturale, di "riportare l’autore al centro della catena di valore del film" –Bertoni-.

Investimenti: da parte dei privati supportati da agevolazioni fiscali e da accordi di distribuzione che garantiscano un effettivo mercato di sbocco alle produzioni al di là dei confini nazionali.

Regole: da parte degli organismi comunitari sempre più chiamati a difendere l’identità culturale europea come premessa indispensabile di quella politico ed economica.

Infine, per quanto riguarda le politiche assistenziali finora attuate dai governi europei a favore dell’industria del cinema, tutti i relatori sono stati d’accordo nel giudicarle indispensabili per mantenere in vita un tessuto produttivo nazionale ma il più delle volte a inefficaci a modificare strutturalmente il dato di mercato, ancora pesantemente a favore delle produzioni americane, e lo stato di integrazione dell’industria, ancora troppo frammentata per essere veramente competitiva. Si è trattato infatti di provvedimenti puntuali, difficilmente conciliabili e slegati da un piano di sviluppo di lunga durata.

Solo attraverso una politica più incisiva e coordinata si riuscirà a garantire una circolazione internazionale alle opere e una loro effettiva competitività con il prodotto made in USA.

Pertanto, il ruolo dell’Unione europea in questo delicato processo di trasformazione del settore cinematografico in sistema audiovisivo è quello di armonizzare le legislazioni nazionali sul settore, proporre norme transnazionali contro le concentrazioni economiche e a favore del diritto d’autore, monitorare lo sviluppo tecnologico del mercato per coinvolgere i nuovi media in un effettivo processo di rafforzamento del sistema.
In questa direzione si muove l’imminente revisione della Direttiva Tv senza frontiere, il primo strumento legislativo della politica audiovisiva dell’Unione la cui versione originale è antecedente al Trattato di Maastricht e che ha già subito due revisioni. L’intenzione è di estendere il sistema delle quote anche i nuovi canali digitali, dalle Tv interattive alla rete, per evitare che l’assenza di regole legittimi un processo di deregulation spontaneo e pertanto incontrollabile.
Anche la terza edizione del programma MEDIA ha aggiunto all’eloquente acronimo un Plus destinato a sostenere la promozione delle opere europee e a favorirne la circolazione per realizzare una condizione di effettiva competitività con il prodotto americano.
Come ha sostenuto Sgarbi nella sessione conclusiva a Palazzo Marini, bisogna abbandonare una "visione manicheista" dell’arte e del mercato e sintetizzare le due posizioni, poiché il "compito di chi fa mercato è rendere commerciabile la qualità e il compito delle istituzioni è quello di evitare che il mercato stabilisca le regole della qualità".
Luciana Castellina ha infine sottolineato come il Festival di Eurovisioni abbia costituito un importante momento di confronto tra i rappresentanti dell’European Gats Group, il nuovo organismo politico che "fronteggerà" la MPAA al tavolo delle trattative per sostenere l’"eccezione" della cultura dagli accordi di liberalizzazione dell’economia durante il WTO in Qatar.

Appuntamento che rappresenta la chiave di volta della politica audiovisiva dell’Unione europea, un’occasione per trasformare un’affermazione di principio -datata 1993- in concreto strumento politico per fondare le regole di un mercato veramente democratico e veramente globalizzato

 

 

COMMENTI PERSONALI
ATELIER CINEMA

Claudia Antonucci

Il Festival Eurovisioni ha compiuto quest’anno quindici anni.
Pochi, se si guarda alla "veneranda" età di altri Festival internazionali; molti, se si tiene conto del ruolo svolto in questi anni da Eurovisioni nel monitorare l’evoluzione del sistema audiovisivo e le risposte delle politiche culturali dell’Unione europea.
Quello appena trascorso, infatti, è stato un decennio denso di grandi cambiamenti che ha fatto del mondo dei media il paradigma dello sviluppo economico degli Stati, il trailer simbolico dei modelli culturali di ogni paese, la pedina strategica da muovere al tavolo delle trattative internazionali sul commercio e sui servizi.
Una centralità istituzionale che qualcuno –parlo di Mitterand- aveva intuito ante litteram ma che ha avuto la sua necessaria legittimazione solo con il Trattato di Maastricht del 1992.
Da quel momento in poi la voce cultura, declinata nel settore cinematografico, televisivo, musicale e multimediale, è entrata a far parte dei bilanci del Fondo europeo, ha suggerito una Direttiva sovranazionale ("Tv senza frontiere"), ha predisposto "misure di incoraggiamento allo sviluppo dell’industria audiovisiva" (le tre edizioni del programma MEDIA), è diventata l’"eccezione" che l’Europa istituzionale pone alle regole della globalizzazione economica.
Il tema affrontato quest’anno dal Festival –"Globalismo e diversità culturale", ha costituito pertanto un’eloquente sintesi di quanto accaduto finora e ha indicato le direzioni che la politica audiovisiva europea dovrà intraprendere per non cancellare quanto conquistato finora.
Evitando di ritornare sugli argomenti trattati nel corso degli atelier, restano da fare alcune osservazioni sul futuro dell’industria cinematografica europea.
L’attuale configurazione del sistema audiovisivo, colloca il cinema al centro della catena del valore delle nuove reti digitali. Contemporaneamente però i nuovi canali, forieri di innovazione e diversificazione, rischiano di diventare vettori degli squilibri di sempre, portavoce di una monocultura colorata a "stelle e strisce".
Il cinema europeo si trova così di fronte al bivio dell’omologazione a standard globalizzati, pena la scomparsa dai nuovi circuiti molto remunerativi o della diversificazione della propria offerta, a favore di una produzione che riassuma in sé prodotti culturalmente connotati e prodotti trasnazionali, "traino" e supporto di film economicamente più deboli.
In poche parole, un sostegno all’arte e per l’arte non può non tener conto di un maggiore dinamismo economico che associ alle esigenze della conoscenza anche quelle del profitto.
D’altro canto, è importante che le diverse cinematografie nazionali convergano nella definizione di una strategia comune che affidi alle istituzioni comunitarie il compito di armonizzare i singoli sostegni nazionali per valorizzare le specificità culturali e garantire loro un mercato sovranazionale democraticamente regolamentato.
Investimenti strutturali, orientamento economico e sostegno pubblico all’esportazione dei prodotti nazionali sono quindi le leve dell’emancipazione di un’industria che pur preservando l’autonomia del film dalla mercificazione dovrà agevolarne con tutti (tutti!) i mezzi la commercializzazione.

Mara Bruno

Ritengo molto interessante il tema scelto per l'edizione 2001 di Eurovisioni, ovvero "Vent'anni dopo: Diversità e Globalismo", in quanto oggi più che mai è diventato un argomento di grande attualità.
Infatti, in un periodo in cui scoppiano guerre in nome di una diversità, in cui si diffondono movimenti no-global contemporaneamente al propagarsi di una omologazione culturale ed economica, assume un'importanza particolare riflettere sul ruolo dell'audiovisivo e specificatamente sul cinema.
Secondo me, in questo contesto diviene ancora più rilevante costruire e realizzare un vero cinema europeo e capire come questo prodotto culturale ed economico possa contribuire a veicolare nuovi messaggi per l'immaginario collettivo e a creare un terreno fertile per costruire un giusto equilibrio tra locale e globale.
In parte trovo assurdo che dopo aver ottenuto un'Europa unita si parli ancora di come rivalutare il cinema europeo e "sconfiggere" la predominanza statunitense: questa questione doveva essere già risolta da tempo, invece se ne discute ancora.
Spesso nel corso dell'Atelier Cinema si è dissertato, sia in modo polemico che costruttivo, sui problemi del cinema europeo e sui modi di rivitalizzarlo, ma gli interventi che ho trovato più risolutivi in quanto- per me- di più immediata applicabilità e di maggior impatto sul pubblico, sono quelli che sottolineano l'importanza della Promozione del cinema europeo.
Ad esempio ( come è stato detto da alcuni partecipanti al convegno), ritengo importante la creazione di una Agenzia comunitaria per la promozione e il marketing del cinema europeo o la nascita di un canale digitale finalizzato a dare tutte le informazioni sui prodotti cinematografici dell'Europa.
Considero prioritario far conoscere innanzitutto ai paesi membri dell'U.E. e poi anche agli altri stati i prodotti cinematografici europei: non si può sapere tutto sempre e solo dei film statunitensi e non conoscere neanche cosa produce il paese vicino che fa parte della stessa comunità.
Secondo me, prima di lanciare una sfida "all'imperialismo americano" il cinema europeo deve essere unito al suo interno: deve raggiungere una politica comune, deve promuoversi, deve poter esprimere contemporaneamente un aspetto "globale" (che lo renda esportabile in tutto il mondo ) ed uno "locale" (che esprima le peculiarità e l'identità di ogni nazione dell'Europa).
Mi auguro che le proposte di questo convegno non rimangano solo delle opinioni di parte, ma che si traducano in impegni concreti che diano vita ad un vero cinema made in Europe

Maria Elena Micheli

11 settembre 2001: questa data ha segnato un momento cruciale nella presa di coscienza del fenomeno della globalizzazione della comunicazione.
Molti dei professionisti che hanno partecipato al Convegno organizzato da Eurovisioni hanno sottolineato come l’attacco terroristico alle Twin Towers di New York abbia mostrato prepotentemente a tutti noi l’avanzare ormai ineluttabile del processo di universalizzazione della comunicazione. Al contempo, è stato rimarcato da più parti come esso abbia fatto emergere, all’opposto, la capacità di un canale arabo locale, Al-Jazeera, di arrivare in ogni parte del mondo. Questa contraddizione riflette quella che, a mio avviso, ha rappresentato il filo conduttore degli incontri e che, peraltro, ha dato il titolo al Convegno: Diversità e Globalismo. In realtà, tale contrapposizione è soltanto apparente. E’ emersa, infatti, la necessità di considerare la diversità culturale non in maniera conservativa, di incentivarne, al contrario, la circolazione così come ha sottolineato Mario Morcellini: "La potenzialità universalizzante della comunicazione va integrata con la globalizzazione economica". Diversificazione e globalizzazione non vanno quindi considerate come degli opposti hegeliani, la globalizzazione va vissuta come una nuova occasione (Fichera).
Nel corso della discussione sono emersi elementi interessanti circa il disavanzo tra l’industria cinematografica statunitense e quella europea a favore, come noto, della prima e si è cercato di indagarne ed analizzarne le ragioni: è stato rilevato come non si possa parlare tanto di dipendenza dell’Europa dagli Stati Uniti quanto di vantaggio e di conquista da parte di questi ultimi; gli operatori americani, infatti, hanno compreso tempestivamente la necessità di integrare la dimensione economica e quella culturale. Di questa esigenza sono ben consapevoli le persone che come me, per vari motivi, hanno studiato la questione della duplice natura del film in quanto opera d’arte da un lato e prodotto dall’altro. Il persistere di questa dualità ha costituito la causa fondamentale della debolezza dell’industria cinematografica europea il cui più grande errore è stato quello di considerare l’aspetto economico, quello culturale e quello concorrenziale separatamente. Un buon prodotto culturale può essere commercializzato e venduto senza per questo perdere la sua qualità.
La maggioranza dei partecipanti ha rimarcato che le misure di sostegno pubblico hanno permesso che questo squilibrio non peggiorasse. Esse sono, quindi, necessarie ma non sufficienti. E’ insomma indispensabile finanziare la creatività, in quanto la cultura e i suoi "prodotti" possono continuare a vivere e a svilupparsi soltanto se sono sostenuti da strumenti economici pubblici che vadano ad aggiungersi a quelli privati: riduzioni dell’IVA, agevolazioni fiscali, finanziamenti indiretti come il tax-shelter, ecc.
Gli aiuti pubblici non sono però sufficienti, come abbiamo detto, se non sono accompagnati da altre misure e dall’incentivazione di altri meccanismi. Alla base di tutto ciò, vi è l’esigenza di una politica globale di sostegno all’industria culturale europea, tanto a livello di Stati nazionali quanto, e soprattutto, a livello di Unione Europea. Non si tratta di omologare, bensì di conoscere le differenti situazioni culturali, che vanno rispettate e mantenute, e di cooperare, collaborare nella diversità. Bisogna realizzare un’analisi comparativa delle legislazioni dei singoli paesi e rintracciare degli elementi comuni; costruire una rete culturale, legale ed economica generale basata su confronti, su un terreno comune. Questo è il presupposto, la condizione necessaria per la difesa dell’identità culturale dei paesi europei e per garantire la possibilità di un’efficace lotta all’egemonia statunitense.
La circolazione delle opere europee, infine, presuppone l’incentivazione della promozione della nostra cinematografia non soltanto sul mercato americano, ma anche su quelli degli altri paesi dell’Unione. Bisogna affermare l’idea di un sistema distributivo europeo forte che non necessariamente debba ricalcare il modello americano e favorire il consumo di film non soltanto nelle sale, bensì attraverso altri canali di distribuzione che stanno acquisendo sempre maggiore importanza: home video, pay-tv, pay-per-view, DVD, ecc.
In conclusione, auspichiamo che queste ed altre proposte emerse durante il Convegno non rimangano inascoltate e disattese, al fine di costruire un’industria cinematografica e audiovisiva veramente competitive.

Roberta Pirone

Il XV Festival di Eurovisioni coglie in tutta la sua tensione l’attuale scenario mondiale così fortemente caratterizzato da contraddizioni e paradossi. In particolare, dal dibattito dell’atelier cinema, sono emersi aspetti cruciali del contesto dell’industria cinematografica europea rispetto a quella americana. Il grave disavanzo della prima in rapporto alla seconda, dovuto tra le altre cause alla frammentazione culturale europea e alla mancanza di una industria culturale integrata capace di gestire le potenziali risorse dell’Unione, è imputabile a mio avviso ad un elemento di profonda diversità tra il sistema audiovisivo statunitense ed il sistema audiovisivo europeo. L’apparato americano deve il suo imponente successo ad un presupposto assolutamente non trascurabile seppur criticabile e criticato: la sua capacità decennale di esportare attraverso il "prodotto" cinematografico il proprio modello di cultura somma di icone indistruttibili, di miti intramontabili, di simboli indiscussi. La cultura statunitense nel bene e nel male ha lentamente, ma costantemente rappresentato l’ideale di vita, the best way of life, per milioni di persone in tutto il mondo. Questo è probabilmente l’inizio della globalizzazione ed è proprio qui che affondano anche le radici delle spinte contestatrici e dei movimenti di balcanizzazione che lacerano la terra. Se obiettivo dell’Europa è quello di assicurarsi una posizione almeno paritaria rispetto a quella americana nello scacchiere della cinematografia mondiale, il primo passo potrebbe consistere nella valorizzazione e caratterizzazione delle culture europee, oltre a mirati interventi di carattere politico-giuridici individuati e dibattuti durante il festival.

Damiano Ricci

Il confronto face to face di aziende e istituzioni che hanno partecipato al festival Eurovisioni è stato un momento di riflessione fondamentale per ritrovare l’identità del settore audiovisivo europeo in un momento in cui sembra che l’evoluzione tecnologica, dei mercati e della comunicazione sia tanto veloce da superare la capacità di comprenderla.
È stata un’ottima occasione per fermarsi e interrogarsi sulla necessità di coordinare sforzi, politiche e per mettere a punto meccanismi d’intervento comuni in risposta all’estenuante velocità evolutiva del sistema cinematografico di questi ultimi anni. E alla capacità delle aziende americane di governare questa velocità servendosi dei nuovi meccanismi di comunicazione per aumentare la disomogeneità tra le due industrie.
Tutto questo prima che il sistema sia di nuovo strutturalmente sconvolto dall’irruzione di nuovi media o combinazioni multimediali.
Tuttavia, nonostante il mutamento sia ipertrofico, molte delle posizioni dei rappresentanti dell’Europa Audiovisiva emerse nel convegno stanno cambiando troppo lentamente e rischiano di non tenere il passo.
Nell’interpretazione del fenomeno della globalizzazione e della diversità culturale si ripropongono infatti atteggiamenti ideologici che già in passato hanno contribuito al forte ritardo con cui l’Europa ha affrontato il fenomeno dell’industrializzazione della cultura.
Personalmente credo che una difesa dell’eccezione culturale fine a se stessa, come ogni difesa e preservazione della propria cultura nazionale, si traduca nella cura di un patrimonio folcloristico già museificato. Ritengo invece che sia opportuno ripensare il fenomeno della globalizzazione attraverso strategie economico-culturali che lascino da parte la paura ideologica di un’omologazione cruda e implacabile a cui ogni identità si piega e si aprano ad una considerazione nuova che tenga conto dei progressi scientifici nello studio sia antropologico sia economico del fenomeno e del suo allontanamento definitivo da ogni visione più ampia del mondo.
I nuovi scenari geo-politici e geo-economici definiscono un nuovo panorama in cui omologazione e diversità culturali determinano soluzioni globali nuove ed ibride che escono fuori dai confini delle identità nazionali. I mercati anche se ora sono mondiali, hanno al loro interno una forte vitalità e un’estrema differenziazione. La diversità culturale quindi non si esprime più tra stati ma, all’interno degli stati, attraverso la dimensione pluridimensionale dei consumi.
Come tradurre questa interpretazione del mondo globale nel contesto del sisitema audiovisivo Europeo?
In una differenziazione competitiva dell’offerta di prodotti cinematografici.
In sostanza, continuare a discutere di circolazione internazionale di prodotti culturalmente radicati nei territori delle singole nazioni e non concepire la possibilità di creare dei prodotti che sappiano parlare ai pubblici di tutta Europa equivale a relegare le produzioni a nicchie di mercato fino a farle diventare completamente mute.
Concepire l’idea di misurarsi con i generi cinematografici per incorporare la cultura in una struttura insieme artistica e popolare non vuol dire svilire il prodotto europeo e aiuta comunque a rivitalizzare il mercato. Insieme ad essi sarebbe opportuno produrre anche prodotti veramente globali come i blockbuster e, allo stesso tempo prodotti culturali e di nicchia.
Questo atteggiamento verso il prodotto interpreta concretamente la rivoluzione estetica e antropologica della mondializzazione.
Ben inteso, la distribuzione resta sempre il problema più importante ma, come ha sottolineato Perretti, con un sistema distributivo idealmente democratico, ci sarebbero effettivamente aziende pronte a distribuire il prodotto europeo come è ora?

ATELIER FICTION

(prima sessione, Maruska Renzini)

Prima sessione dell’atelier fiction del 21 ottobre – presiedono Marc Nicolas (direttore generale CNC) e Jean-Noel Dibie (delegato allo sviluppo internazionale FRTV), partecipano Carlo Bixio (vice presidente APT), Joao Correa (segretario generale FERA), Roberto Levi (presidente ATP), Luca Milano (responsabile della produzione RAIFICTION), Patrick Quinet (produttorre Artemis Production), Jaume Vitalta Gonzalez (Consiglio di direzione Catologna)

Si descrive lo scenario attuale della produzione di fiction in Europa nel suo doppio profilo culturale e economico attraverso due ricerche condotte dal gruppo EUROFICTION e dall’Osservatorio Europeo dell’Audiovisivo.

Milly Buonanno (coordinatrice della ricerca EUROFICTION) ha aperto la riflessione con una relazione dal titolo Turbolent enviroment dell’industria europea dell’audiovisivo. Per la prima volta dal 1996 il team di EUROFICTION registra un leggero calo della produzione di fiction in Europa (5564 ore prodotte nel 2000 contro le 5786 del 1999, con un ribasso del 3,9%), accompagnato anche da una diminuzione del numero di episodi (sceso del 4,7% rispetto al 1999) e del numero di nuovi titoli prodotti (diminuito del 5,3% dal 1999). Anche se nello specifico solo Spagna e Francia segnano una diminuzione significativa della produzione di fiction (Gran Bretagna e Germania si assestano sul proprio monte ore e l’Italia segna un leggero aumento), si apre una prospettiva di declino sullo scenario produttivo europeo che si spiega solo in parte con gli aumentati costi di produzione e con la crisi degli investimenti pubblicitari. A mancare è proprio la risorsa della creatività, la capacità di raccontare storie che sappiano appassionare e fidelizzare un pubblico non solo nazionale, ma europeo. È un problema di formazione delle figure creative della fiction (sceneggiatori, attori, registi), servono scuole europee capaci di sviluppare un approccio cosmopolita, uno sguardo europeo. La fiction, infatti, registra grandi successi all’interno del proprio paese d’origine, ma non riesce a attraversare i confini europei, non "viaggia". I palinsesti europei sono poveri di fiction europea, soprattutto nel primetime. Alla base di questa lacuna si trova principalmente un problema di conoscenza e di informazione. I broadcaster non conoscono la fiction degli altri paesi europei e quando la acquistano spesso non hanno fiducia nella sua capacità di attrazione. All’informazione bisognerebbe, così, accompagnare una strategia oculata di programmazione, che valorizzi il programma e che non lo releghi – come spesso avviene – nelle fasce di basso ascolto. A ridimensionare il dato della caduta del volume complessivo della produzione europea contribuisce la qualità della produzione che è andata crescendo. La fiction autoctona è quella che raccoglie maggior ascolti e consensi nei pubblici nazionali, soprattutto nella fascia privilegiata del primetime. Se la fiction statunitense continua ad occupare il daytime dei palinsesti europei, le fiction nazionali costituiscono il cuore dell’offerta del primetime (75% in Francia, 56% in Germania, 51% in Spagna e Gran Bretagna , 43% in Italia). I formati privilegiati e più frequentati dalle reti europee sono stati quelli della serie da 52 minuti – capace di fidelizzare la propria audience, di riempire ampi spazi della programmazione e di aumentare le interruzioni pubblicitarie senza danneggiare il testo televisivo - e il film-tv con caratteristiche cinematografiche.
Per ampliare e approfondire il discorso sulla produzione televisiva europea Andrè Lange (ricercatore del Observatoire Européen de l’Audiovisuel) ha introdotto la sua relazione sulla situazione finanziaria delle imprese di produzione di fiction. Alla diminuzione dei margini di profitto e agli aumentati costi di produzione, le imprese di produzione di fiction hanno risposto con la strategia della convergenza che ha portato alla formazione di grandi realtà produttrici presenti in più paesi europei come Endemol e Pearson Television. Tuttavia la produzione resta ancora fortemente legata al broadcaster. In Germania e in Gran Bretagna – i maggiori produttori di fiction in Europa con rispettivamente 1801 ore e 1322 ore prodotte nel 2000 – la produzione è in gran parte interna alla rete (per il 62% in Gran Bretagna, per il 53% in Germania). Non a caso la BBC figura come prima impresa produttrice europea in termini di fatturato. In Italia, Francia e Spagna la presenza dei produttori indipendenti è più forte, anche se vanno fatte alcune differenziazioni. In Italia per esempio l’emittente non ha veri e propri compiti produttivi, ma segue il progetto di una fiction fin dall’inizio in una minuziosa opera di monitoraggio portata avanti da organi specifici come Mediatrade e Raifiction.
Nella prima sessione dell’atelier si è così disegnato il panorama complessivo di riferimento all’interno del quale proporre miglioramenti e prospettive di sviluppo per un’industria televisiva produttiva dal punto di vista economico e culturale. A mio avviso, infatti, nella discussione non si è mai dimenticata questa doppia natura della fiction televisiva che è industria, ma anche cultura. Necessità così di politiche di sostegno economico e di strategie di marketing e di valorizzazione, ma anche di una nuova attenzione ai contenuti, ai settori creativi della produzione che devono assumere consapevolezza del ruolo centrale di story-teller, di costruttore di senso assunto dalla fiction nel nostro tempo.

Seconda sessione ( Elodie De Selys, Antony Rizzi)

Du 21 au 24 octobre 2001 se déroulaient à Rome les journées internationales du 15e festival international de cinéma et télévision Eurovisioni. Thème de la rencontre : " Après 20 ans : Diversité et Globalisation ". La manifestation rassemblait à la villa Médicis, en plein cœur de la Ville Eternelle, des professionnels de la télévision, de la musique et du cinéma venus des quatre coins de l’Europe. Ces spécialistes se sont répartis en trois ateliers de travail correspondant aux trois secteurs concernés, avec, pour objectif, de présenter un rapport au Parlement européen.
L’atelier " Fiction " est celui auquel nous avons assisté. La première journée de cet atelier fut consacrée à dresser l’état des lieux de la production européenne grâce aux recherches d’André Lange, expert de l’Observatoire Européen de l’Audiovisuel, et de Milly Buonanno, sociologue à l’Université de Florence et membre d’Eurofiction. Ces observations confirment celles faites par le journal Libération dans le courant du mois d’avril et peuvent être résumées comme suit : " l’invitation à l’enracinement dans l’identité nationale trace la ligne directrice de la régulation audiovisuelle dans tous les pays européens ".
La deuxième journée de travail prit la forme d’un débat sur les observations formulées la vieille. Le président de l’atelier, Marc Nicolas, Directeur Général Adjoint CNC, rappela la tendance à la baisse de la circulation des œuvres de fiction européennes et les nombreuses différences entre les situations nationales. Il fit remarquer que la valeur d’un programme ne tenait pas à son coup mais bien à sa recette, entraînant une dissociation entre production, acquisition et programmation, et une politique de programmation voulant coller avec l’attente du public. Jean-Noël Dibie, Délégué à la Direction du Développement International de France-Télévision avança que la préférence régionale était une question d’information du programmateur, information se révélant souvent mal faite. Milly Bunonanno fit observer une loi de proximité analogue à tout niveau de la production culturelle. Selon elle, il sera impossible de détruire la première préférence (nationale), mais possible de mettre tout en œuvre pour bâtir la deuxième (jusqu’ici américaine). Michel Fansten, Chargé de Mission du Ministère français de la Culture et de la Communication souligna l’habitude du public à une certaine logique, à un certain type de programme : les goûts sont formés par la diffusion de programmes américains. Marc Nicolas affirma que les chaînes thématiques n’étaient pas une solution car la création d’une nouvelle chaîne n’a jamais garanti l’audimat pour ses programmes. Jean-Noël Dibie ajouta que l’information ne circulait pas entre les créateurs des œuvres et les programmateurs. Mal informés, les programmateurs ne sont pas incités à diffuser les programmes étrangers. Une divergence d’opinion opposa alors Michel Fansten, Jean-Noël Dibie et Joao Correa, Secrétaire Général de la Fédération Européenne des Réalisateurs de l’Audiovisuel, au sujet des mesures à prendre pour la circulation des œuvres européennes à l’intérieur de l’Union. Marc Nicolas trancha la question en rappelant que le but de la réunion n’était pas de trouver une formule ou un mécanisme à appliquer mais plutôt de lancer des pistes de réflexion susceptibles de faire progresser le domaine de l’audiovisuel européen.
Dans son rapport pour la session de clôture, Jean-Noël Dibie conclut que si le volume de la production de fictions était à la baisse, et la qualité à la hausse, cela ne s’accompagnait cependant pas d’une circulation des œuvres à l’intérieur de l’Union Européenne. En d’autres termes, les enjeux politiques à la base de la construction Européenne ne se sont pas totalement réalisés au niveau culturel et particulièrement au niveau de la fiction télévisée. Dès lors " Diversité et Globalisation " restent un but à poursuivre et à atteindre. Les participants de l’atelier prônent l’amélioration du financement et des conditions de circulation des œuvres européennes non nationales. Dans cette optique, il conviendrait de favoriser la communication entre les créateurs, les acheteurs et les diffuseurs et d’adopter des mesures d’incitation chez les téléspectateurs. Les spécialistes d’Eurovisioni proposèrent ainsi la subvention de ciné-clubs européens et des mesures de soutien économique aux distributeurs.
Cette manifestation nous a permis de rencontrer et côtoyer des spécialistes et professionnels du monde médiatique européen. Nous regrettons cependant – avec les participants d’ailleurs – l’absence de représentants de tous les pays de l’Union, tandis que certains étaient surreprésentés. Nous craignons que la forte présence française et italienne ne présage une plus forte circulation des œuvres en provenance de ces deux pays au détriment de plus petits Etats comme, par exemple, la Belgique. Ayant fait cette remarque lors de la session, nous nous sommes heurtés à des arguments économiques et linguistiques.
En conclusion, nous pensons que la diversité et la globalisation au niveau des œuvres de fiction européenne a encore un long chemin à parcourir, parsemé d’embûches à éviter. Nous espérons que les idées intéressantes émises à l’occasion de cette réunion trouveront suite au Parlement européen.

ATELIER MUSICA
Daniela Celotto, Antonio De Carolis Mariangela Piersanti Fabio Volpetti

Nella definizione di "Era tecnologica", i settori della produzione di arte, intesi come espressione culturale, hanno assistito in questi ultimi anni ad una crescita considerevole.
La musica vive un periodo di estremo dinamismo caratterizzato anche da contrasti e forti incertezze.
Esperti del settore sono intervenuti al convegno "Eurovisioni", tenutosi a Villa Medici, per fare il punto sui temi centrali sulla musica, ma soprattutto per determinare quelle che sono state le linee guida e quali saranno le nuove sfide e le nuove frontiere che riguarderanno questo settore.
Dagli anni ’80 in poi, la musica ha vissuto forti cambiamenti, non solo in quanto a generi musicali, quanto piuttosto a fruizione di apparecchi di riproduzione sempre più sofisticati, cambiando gradualmente il modo sia di fare che di ascoltare musica.
Le nuove tecnologie d’avanguardia, a pari passo con le mode e con le tendenze, hanno saputo offrire al pubblico nuovi linguaggi, delineando quella che attualmente definiamo "Musica Moderna". Non solo, la continua ricerca di nuovi suoni, di basi musicali, di melodie, danno vita a nuovi mercati, quasi esclusivamente rivolti ad un pubblico giovanile più preparato ed esigente.
Fare musica diventa sempre più semplice.
Con un Pc e un buon software per la creazione di musica, è possibile generare una traccia musicale anche a casa senza ricorrere all’utilizzo di un vero e proprio studio di registrazione come altrettanto facile è "scaricare" musica in formato MP3 dalla rete; infatti collegandosi con alcuni server dedicati alla musica e selezionando artista o titolo del brano richiesto, il gioco è fatto.
Più complesso è invece il "gioco" che spetta agli organi di competenza per regolamentare tale fruizione incontrollata e smisurata. È indubbio che ciò generi problemi non indifferenti alla rete di produzione e diffusione del prodotto.
La tecnologia digitale offre all’utenza ed ai broadcasters nuove opportunità di sviluppo di prodotti multimediali dei quali finora, a causa delle limitazioni proprie dell’analogico, non era possibile concepire la produzione e la diffusione.
La musica si è anche riversata su numerosi altri settori mediali, ad esempio nel cinema, nella radio, nella pubblicità come nella fiction.
Dal vinile al mangianastri, dal CD all’MP3, la nuova tecnologia incorpora in se una serie di problematiche tuttora complesse nella risoluzione che toccano in particolar modo Internet con le sue varie regolamentazioni, il difficile rapporto tra le etichette "Major" e la produzione di musica indipendente, i diritti d’autore come anche le royalties d’interprete, i costi medi di registrazione, fabbricazione e distribuzione.

COMMENTI PERSONALI
ATELIER MUSICA

Daniela Celotto

La partecipazione ad Eurovisioni 2001 mi ha offerto la grande opportunità di conoscere, più da vicino, le dinamiche politiche, economiche e culturali che sottendono il Media System.
Luci ed ombre sono emerse all’interno dell’"Atelier musica" (a cui ho partecipato) relativamente al ruolo che le Majors rivestono, alla difficoltà di sopravvivenza delle piccole emittenti, schiacciate dai colossi americani, alla sfida di Internet come nuova frontiera del consumo musicale. Ed è proprio con l’arrivo di Internet che, a mio parere, si potrebbe paventare il rischio della concorrenza non solo tra computer e radio ma anche tra le radio stesse, che dovrebbero forse modificare il proprio palinsesto in risposta al tipo di offerta musicale multimediale.
Non credo tuttavia che sia maturo il tempo per un "rimpiazzamento" on line della radio classica; la vera multimedialità ancora non c’è e ritengo che, la stessa qualità audio delle canzoni, potrebbe risultare ancora bassa.
I commenti, i dubbi, le proposte che sono emerse relativamente alle problematiche del mondo radiofonico hanno arricchito il mio bagaglio culturale, promovendo un maggior sviluppo critico non solo sul campo musicale ma su quello mass-mediologico tutto.

Antonio de Carolis

Nella XV edizione di Eurovisioni, personaggi di spicco hanno discusso temi importanti riguardo ciò che avviene nel settore musicale, sia dal punto di vista della musica in Tv, sia dall’impatto determinato in particolar modo sul settore dello sviluppo di Internet.
Si è parlato quindi dell’effetto Napster, dei produttori indipendenti di musica e dell’impatto della concentrazione dei soggetti sul mercato francese, dell’offerta di musica attraverso Radio e Tv. Tematiche interessanti che cercano di favorire il confronto e la discussione e cercano di fornire elementi che mettano in grado di capire cosa c’è di buono e cosa di male nel sistema di regolamentazione, che a quanto pare, non è in grado di controllare tale fenomeno. Fenomeno quello musicale che con le sue potenzialità può generare nuove opportunità di lavoro soprattutto negli ambienti universitari e di ricerca in generale e può conciliare, come qualsiasi altro mezzo mediatico, le esigenze di sviluppo e di crescita globale con il rispetto delle identità culturali e sociali.
Tuttavia, le limitazioni di ordine pratico e tecnologico, che hanno contraddistinto l’età dell’analogico e le prime sperimentazioni del digitale satellitare, l’hanno resa spesso ignorata e poco considerata dall’utente. Musica quindi come libertà, libertà d’innovazioni e melodie, che scorrono nel sistema circolatorio di tutte le società e che ci raggiungono nel privato, aprendo varchi, segnando sentieri, incorniciando situazioni e mostrando un aspetto insaziabile, che si nutre di tutto e che si ripresenta ogni volta, inconsciamente, nella sua indispensabilità.

Mariangela Piersanti

All'atelier della musica le argomentazioni illustrate dai membri della commissione sono state consistenti e singolari. All' interno di uno scenario complesso, l'argomento che ha destato di più la mia curiosità e il mio interesse, anche se non è stato il punto cardine del dibattito e forse di minor rilevanza per una commissione più attenta agli aspetti politici, economici e legislativi, è il rapporto tra il settore radiofonico e le nuove tecnologie. Mi riferisco in particolare ai vantaggi che la tecnologia digitale offre all'utenza radiofonica, alle nuove opportunità di sviluppo di prodotti multimediali, dei quali finora, a causa delle limitazione proprie dell'analogico, non era possibile concepire la produzione e la diffusione. Su questo aspetto è stato significativo l'intervento di Giovanni Montefusco affermando che: "La Radio Digitale rappresenta sicuramente l'evoluzione più significativa nella tecnologia radiofonica dall'introduzione delle trasmissioni stereofoniche in modulazione di frequenza". Quali sono in sostanza questi vantaggi innovativi offerti dalla Radio Digitale? Dalla sua lunga esperienza in radio è ancora Montefusco a rispondere a questo interrogativo, delineando la possibilità di una ricezione stabile e duratura attraverso la radio digitale, libera da interferenze ed immune dagli effetti degenerativi provocati dalla propagazione delle onde in presenza di ostacoli e echi; l'ascolto del segnale audio in qualità digitale, molto elevata, anche nelle condizioni più critiche.

Fabio Volpetti

La musica: armonia, arte dei suoni, melodia. Vibrazione di alti e di bassi, maestosa e complicata, soave e chiassosa, sacra e profana, un contatto diretto tra l’uomo e "son esprit libre".
Sempre più la musica viene ascoltata dal pubblico giovanile di massa dove il Pop Internazionale, la Dance, il Rock e il Latino, fanno da protagoniste nell’immenso scenario dei generi musicali mentre tutte le altre stanno ad ascoltare le eco delle loro antagoniste.
Tra Major , produttori indipendenti e Internet l’ascolto, il consumo e la diversità della musica viaggiano oggi ad alta velocità.
Come ogni forma di arte, la musica cambia non solamente nello stile, nell’espressività , ma anche nella tecnologia perché nuove opportunità di generare e campionare musica, danno vita a nuove forme di espressività musicale.
Il caro e amato vinile ci saluta per dare spazio a MP3, CD, mini disc che si insediano sul mercato globale di consumo in maniera davvero esponenziale.
Quale sarà la musica del futuro?
La musica come arte è patrimonio di tutti.
Nel corso della storia l’uomo ha saputo mettere nell’esatto ordine più sequenze di note, di armonie e melodie.
Credo che se ci saranno nuove pulsioni nell’uomo, nei popoli, allora le innumerevoli combinazioni di nuovi suoni che ascolteremo, indipendentemente da i loro formati, ci offriranno nel settore commerciale buoni frutti.