Potocine - Questo spazio è tuo e nostro: dobbiamo averne cura!
di Elisabetta brunella

L'avevamo già detto al momento della presentazione del Kino Armata di Prishtina, capitale del Kosovo: l'ultima Biennale di Architettura di Venezia ha messo l'accento sugli stili e sulle modalità di vita "insieme", scegliendo il tema "How will we live together?", tuttavia non sono molte le sale cinematografiche portate in primo piano in questa pur straordinaria esposizione. Non numerose, ma decisamente significative: stavolta parleremo del Potocine, una struttura nata nello spirito "Non c'è un cinema nella nostra zona? Ebbene, costruiamocelo!"

Potocine è infatti un progetto di autocostruzione ed autogestione che ha consentito agli abitanti di Ciudad Bolívar, popoloso sobborgo di Bogotá, di beneficiare della prima sala cinematografica non commerciale.

La struttura si colloca, più specificamente, nel fitto tessuto urbano di Potosí, quartiere collocato in una zona collinare, tra il margine della città e la prima fascia rurale, a sud-ovest della capitale colombiana. Nato negli anni Ottanta del ventesimo secolo, presenta soprattutto costruzioni abusive che non beneficiano di opere di urbanizzazione e di servizi pubblici, come per esempio spazi ricreativi. Ha comunque in breve tempo attirato moltissimi abitanti come effetto di spostamenti da zone colpite dalla guerriglia o per ragioni socio-economiche.

Anche oggi Potosí soffre di gravi problemi legati ad attività illegali di estrazione mineraria, al microtraffico di droga e alla violenza, sia all'interno sia all'esterno della famiglia. Allo scopo di contrastare il degrado con una proposta educativa e culturale, nasce a metà degli anni Ottanta un'iniziativa non governativa, di concerto con l'assemblea degli abitanti. In questo contesto viene creata una scuola di produzione cinematografica ed audiovisiva, chiamata "Ojo al Sancocho", che vanta ormai una storia più che decennale e che è diventata lo strumento per veicolare coscienza dei diritti ed assunzione di responsabilità.

Da questa iniziativa germinano prima un festival, nel 2008, e poi l'obiettivo di disporre di una vera e propria sala. Non solo in chiave funzionale alle altre attività, ma come presidio del territorio, simbolo di un nuovo modo di partecipare alla vita collettiva e strumento per veicolare un'immagine più positiva di Potosí.

Il progetto riesce a prendere forma a partire dall'acquisizione di un lotto su cui insistevano due piccoli edifici. Uno di essi viene mantenuto come centro per la produzione audiovisiva e come accesso al cinema, mentre il secondo viene demolito per consentire la creazione della sala vera e propria.

Il processo di autocostruzione assume un deciso significato politico: si basa, per esempio, sullo scambio di saperi ed abilità così come sull'utilizzo di materiali locali. Si sceglie una particolare varietà colombiana di bambù (gradua) per la realizzazione della struttura che viene lasciata intenzionalmente a vista, grazie all'adozione di un materiale traslucido come il policarbonato alveolare per il rivestimento.

Il bambù viene adottato anche per la fabbricazione di sedili concepiti come il prolungamento dei gradoni e completati con tessuti cuciti dalle donne della comunità, nello stile di grandi sedie a sdraio.

Realizzata nel tempo record di 4 mesi, situata a 2.730 metri sul livello del mare, la sala ha visto la luce nel 2016.

Lo spirito che ha portato alla sua costruzione è riassunto nella frase dipinta col pennello sul muretto di contenimento: "Questo spazio è tuo e nostro: dobbiamo averne cura!"


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