Tutti
diversi, tutti digitali
a cura di Elisabetta Brunella
Questa rubrica ospita ritratti di cinema
d’Europa e del resto del mondo assai diversi tra loro, ma accomunati dal
fatto di aver adottato la proiezione digitale.
Paese |
Nome
del cinema |
Città |
Società
|
Numero
di proiettori digitali
|
Marca
del proiettore
digitale
|
Risoluzione
|
Server |
N.
di schermi 3D
|
Stati Uniti |
Landmark Sunshine Cinema |
New York City |
Landmark
Theatres
|
2 |
Barco
Sony |
2K
4K |
Cube |
- |
Landmark Sunshine Cinema
– New York
Non
di solo multiplex vive lo spettatore americano. Lo dimostra la fortuna
di un cinema come il Landmark Sunshine di New York, situato a Lower Manhattan
in un edificio di mattoni costruito nel 1844 per ospitare la Chiesa Riformata
Olandese e passato poi a varie altre funzioni: cinema, teatro, magazzino
di merci. Dalla radicale trasformazione durata più di un anno,
sono nati nel 2001 cinque schermi, di cui tre a gradoni, con una capienza
variabile da 118 a 284 posti, per un totale di 830, preceduti da un ampio
foyer, attrezzato a bar. I biglietti si comprano dal marciapiede, sotto
la marquee illuminata da una miriade di lampadine. Il look che strizza
l’occhio agli anni Venti, epoca d’oro dei movie palaces, ma soprattutto
la programmazione del Sunshine, decisamente d’essai, basata su un mix
di film americani indipendenti, di produzioni non in lingua inglese proiettate
coi sottotitoli e un’ampia selezione di documentari, attirano la clientela
dai gusti ricercati che abita a Lower East Side: “I nostri spettatori
sono “arty” – dice Mandy Moncayo, la giovane e dinamica direttrice del
cinema – proprio come questo quartiere”. Più o meno uguale a quello
dei grandi complessi è il prezzo del biglietto: tredici dollari
per ogni spettacolo, dal primo delle 11.45 della mattina all’ultimo delle
ventidue. Una carta fedeltà consente di avere un ingresso gratis
ogni dieci acquistati. A dieci dollari sono venduti i classici, proposti
il venerdì e il sabato a mezzanotte. Chi voglia acquistare sul
web paga un sovrapprezzo di un dollaro. Facebook e Twitter sono gli strumenti
con cui il Sunshine resta in contatto con chi aderisce al suo “Film club”
e con cui promuove iniziative speciali. “Offriamo tantissimi eventi, come
proiezioni a tema per Natale o altre ricorrenze, così come anteprime
con attori, in collaborazione coi distributori, soprattutto per quelle
produzioni di Hollywood che possono piacere al nostro pubblico . Ma questi
eventi non li vendiamo: sul nostro tappeto rosso si sale solo su invito”,
aggiunge Mandy. Quanto alla tecnologia, il Sunshine rispecchia l’approccio
della società madre: per Landmark - la catena d’essai forte di
245 schermi in 21 città statunitensi - la transizione al digitale
va avanti “con prudenza”. Così nel suo complesso di Lower Manhattan
sono stati installati sinora due proiettori digitali: un Barco 2K e un
Sony 4K. Per ora niente 3D.
Ma agli habitués del Sunshine va bene così, anche senza
effetti speciali. Sono spettatori più colti, con maggiori disponibilità
economiche, di età più avanzata della media, non dipendenti
dall’automobile. E magari anche vegetariani, se non addirittura vegani.
La scelta delle “concessions” arriva così a comprendere la frutta
secca e il cioccolato, ovviamente bio, nonché una dozzina e più
di tè e infusi. Tra i prodotti più amati spiccano sia gli
esotici “Pocky”, biscotti a forma di bastoncini ricoperti di cioccolato,
importati direttamente dal Giappone, sia il molto più convenzionale
pop corn. Ma anche il cibo da cinema più standard al Sunshine è
“customized”: c’è la variante vegana e quella kosher, così
come dieci tipi di condimenti. “Ma noi – a differenza dei multiplex –
li regaliamo!”, sottolinea Mandy.
Se qualcuno non volesse rinunciare alle proteine animali, non si scoraggi:
poco più avanti, sullo stesso marciapiede del Sunshine, c’è
Katz, il “deli” in puro stile New York che serve giganteschi sandwich
di pastrami e corned beef. Dagli effetti speciali: ve lo ricordate “Harry
ti presento Sally”? La scena più famosa è stata girata proprio
qui.
Elisabetta Brunella
Questo articolo è stato pubblicato sul "Giornale
dello Spettacolo" n. 15 del 7 ottobre 2011.
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