CINEMA DIGITAAL
Sono 253 i cinema, per un totale di 750
schermi, che operano nei Paesi Bassi, un mercato che nel 2010 ha superato
la soglia dei 28 milioni di spettatori, raddoppiando il risultato dei
primi anni Novanta. Ad oggi quasi trecento sale – 296 per la precisione
– sono passate alle nuove tecnologie di proiezione grazie a Cinema Digitaal.
E’ questo lo strumento progettato dai distributori e dagli esercenti olandesi
per consentire a tutti gli schermi del Paese di avere accesso ad una rapida
e completa transizione digitale. L’obiettivo è arrivare entro l’estate
del 2012 a digitalizzare 510 sale, dalle caratteristiche più varie
– dai monoschermi d’essai ai multisala urbani, dai piccoli circuiti alle
catene medio grandi. Cinema Digitaal, che ha lo statuto di un’organizzazione
senza scopo di lucro, nasce infatti per raggruppare tutti gli operatori
ad eccezione delle tre società d’esercizio – Pathé, Euroscoop
e Utopolis – che la strada verso il digitale l’avevano già intrapresa
autonomamente, la prima firmando accordi diretti con le majors, le altre
due appoggiandosi all’integratore francese Ymagis nel ruolo di intermediario.
A volere fortemente Cinema Digitaal sono state le associazioni professionali,
NVB per gli esercenti, NVF per i distributori, che hanno unito le proprie
forze per “inventare” un modello VPF che funzionasse per tutti. Per questo
sono stati fondamentali il coinvolgimento di EYE – l’Istituto cinematografico
dei Paesi Bassi, e il contributo messo a disposizione dal governo attraverso
PRIMA, il progetto per l’innovazione tecnologica del Paese, e il Fondo
Olandese per il Cinema.
Cinema Digitaal ha scelto di avvalersi di un intermediario, AAM, che assicura
l’installazione dei sistemi digitali e la gestione del VPF, inclusi gli
accordi con i distributori – gli studios e 16 case olandesi indipendenti
– e la raccolta e redistribuzione delle fees. L’intera operazione prevede
una durata massima di dieci anni e un costo complessivo di 39 milioni
di euro. A coprirlo sarà perlopiù il VPF, stimato in 25
milioni di euro. Si aggiungono inoltre il contributo statale, per 5,4
milioni di euro, i proventi dai contenuti alternativi (1,1 milioni di
euro) e l’investimento diretto degli esercenti, che ammonta a 7,5 milioni
di euro. Le società che hanno aderito su base volontaristica a
Cinema Digitaal – ben 177 - si impegnano infatti a pagare una cifra totale
per schermo di 14.600 euro, da versare con otto quote annuali di 1.200
euro l’una che si aggiungono a un primo pagamento di 5.000 euro. Questo
consente di installare attrezzature per la proiezione digitale (proiettore
e server) che sono garantiti per dieci anni e che alla fine dell’operazione
diventeranno di proprietà dell’esercente. Non sono invece comprese
nell’accordo le apparecchiature per la proiezione 3D, che restano totalmente
a carico dell’esercente. Ron Sterk, segretario generale di NVB, commentando
positivamente l’avvenuta installazione dei tre quinti degli impianti previsti,
ha dichiarato: “Siamo molto soddisfatti che l’alleanza tra distributori
ed esercenti ci abbia consentito, con un sistema a finanziamento misto
pubblico/privato, di evitare che il passaggio alle nuove tecnologie escludesse
la fascia dei cinema commercialmente più fragili. Abbiamo così
evitato la chiusura di circa il 20% degli schermi del Paese.” Anche sul
versante dei distributori, che si sono impegnati a versare il VPF per
un massimo di 10 anni, si guarda con fiducia agli effetti dell’accordo:
“Con questo schema, che permette la digitalizzazione di sale dalle caratteristiche
e dalla programmazione assai diverse – sostiene Michel Lambrechtsen, segretario
generale di NVF – i distributori olandesi si assicurano la possibilità
di distribuire nel modo più ampio possibile una gamma di contenuti
che spazia dai film di qualità ai titoli più popolari”.
Tra le lezioni apprese sinora, i protagonisti sottolineano che quasi quanto
il denaro sono importanti l’informazione e la formazione di tutti i soggetti
coinvolti nella digitalizzazione e dei loro interlocutori, a cominciare
dalle istituzioni pubbliche. E che gli schemi collettivi funzionano se
proprio tutti sono disposti a “giocare il gioco”.
Elisabetta Brunella
Questo articolo è stato pubblicato sul "Giornale dello Spettacolo"
n. 18 del 25 novembre 2011.
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