Dati Generali | |
Produzione | Laurence Olivier |
Sceneggiatura: | Laurence Olivier, Arthur Dent dall'omonimo testo shakespeariano |
Fotografia: | Robert Krasker |
Musica originale: | William Walton |
Montaggio: | Reginald Beck |
Interpreti: | Laurence Olivier
Robert Newton Renee Asherson Esmond Knight Leo Genn Felix Aylmer |
Laurence Olivier ha incarnato indubbiamente sulla scena e sul set
britannico per lungo tempo la figura dell' Interprete shakespeariano in
assoluto. Pertanto questa traduzione dell' Enrico V per lo schermo non
poteva non essere attesa come un evento per il cinema britannico che, all'epoca,
trovava le proprie modalità di sopravvivenza all'interno di un conflitto
sempre più devastante. Olivier così si esprime nel volume
On Acting (Simon & Schuster, 1986): "Avevo una missione...Il mio paese
era in guerra; sentivo Shakespeare dentro di me e il cinema dentro di lui.
Sapevo ciò che volevo fare e quello che lui avrebbe fatto". Autoinvestendosi
di un tale 'mandato' Olivier non poteva non affrontare il testo se non
prendendo le mosse da quanto è già presente nel prologo.
Nel testo shakespeariano viene denunciata la limitatezza della' O' dello
spazio del Globe Theatre. Si chiede pertanto agli spettatori di annnullarla
travalicandola grazie all'uso dell'immaginazione. Solo grazie ad essa si
potranno vedere porti d'imbarco, grandi navi cariche di soldati e vasti
campi di battaglia su cui uomini a piedi e a cavallo si affrontano con
durezza.
Olivier fa diventare 'cinema' questa autodenuncia shakespeariana.
Apre quindi il film con un'ampia panoramica su una ricostruzione della
città in cui le parole dell'autore divenivano rappresentazione teatrale.
La macchina da presa va poi a 'stringere' proprio sul Globe nel momento
in cui viene issata l'insegna. La rappresentazione sta per avere inizio,
i musici prendono posto mentre il pubblico (delle diverse fasce sociali)
affluisce sempre più numeroso fino ad occupare tutti gli spazi disponibili.
Olivier compie una ricostruzione filologica dell'interazione che
si veniva a costruire tra attori e pubblico sin da queste prime ìnquadrature.
Al contrario però di quanto un pubblico cinematograficamente 'ingenuo'
potrebbe aspettarsi, non abbandona rapidamente la dimensione del palcoscenico
per ambientare la vicenda in dimensioni 'da cinema'. Resta anzi a lungo
nel Globe in cui ambienta il dialogo con i prelati e l'arrivo dell'ambascaitore
di Francia. Non trascura neppure di mostrarci quanto accade dietro le quinte
cominciando così a 'dichiarare' le potenzialità del cinema
che può consentire un'ampia possibilità di 'svelamento' di
quanto è nascosto. Solo successivamente la 'fantasia' degli spettatori
troverà aiuto nel mezzo che la condurrà al di là delle
mura del Globe. Anche in questo caso però conserverà, in
alcune sequenze, una scenografia dichiaratamente 'finta' quasi a segnare
una fase di passaggio tra la scena e il set. Essendo questo, al di là
dello sviluppo della vicenda che potrà essere adeguatamente analizzato
in sede letteraria, ci sembra opportuno riportare in questa sede un approfondimento
di Peter S. Donaldson autore del volume Shakesperean films/Shakesperean
directors ( Boston, Unwin Hyman, 1990). Donaldson così scrive: "
Robert Weimann ha descritto l'interazione di livelli di rappresentazione
sulla scena Elisabettiana come una tensione tra la platea, o funzione performativa,
e il locus, o funzione rappresentativa, come eredità della pratica
medioevale adattata all'edificio tetrale. La platea era approssimativamente
la parte inferiore della larga piattaforma del palcoscenico; qui gli attori
potevano interagire con il pubblico e muoversi liberamente dentro e fuori
dal ruolo (...) Sulla parte superiore della scena , o locus, l'impersonificazione
prendeva il sopravvento sull'interpretazione, prevaleva un maggiore decoro
e la doppiezza di attore e ruolo era meno enfatizzata. Questa era il 'luogo'
narrativo o storico e conservava tracce della santità o alta serietà
delle rappresentazioni bibliche o dei 'mistery plays' medioevali da cui
derivava. La potenzialità sovversiva della scena è collegata
a questa distinzione: i re possono non essere migliori dei cenciosi attori
che li portano in scena. Indisciplinata e carnevalesca, l'irrispettosa
platea sgonfia e critica l'ideologia ufficiale. La rappresentazione del
palcoscenico elisabettiano, che precede Weimann , osserva una distinzione
tra 'downstage' e 'upstage' sfrutta in parte il potenziale antiautoritario:
l'indegna clownerie del vescovo di Ely e dell'arcivescovo di Canterbury
nell'esporre la legge salica ha luogo 'downstage' così come l'offensivo
dono delle palle da tennis al re, mentre la parte superiore è riservata
al trono ed è trattata con maggiore dignità e una più
completa identificazione dell'attore con il ruolo storico. Ancor più
Olivier segna la differenza tra locus e platea nella relazione che intercorre
tra la sala Elisabettiana intesa come un intero e lo spazio cinematografico
più realistico e storico che la sostituisce."