Enrico V
di Laurence Olivier

 
Dati Generali
Produzione Laurence Olivier
Sceneggiatura: Laurence Olivier, Arthur Dent dall'omonimo testo shakespeariano
Fotografia:  Robert Krasker
Musica originale: William Walton
Montaggio: Reginald Beck
Interpreti: Laurence Olivier 
Robert Newton 
Renee Asherson 
Esmond Knight 
Leo Genn 
Felix Aylmer
Durata: 127' -  Gran Bretagna, 1944


Lord Olivier e Re Enrico

Laurence Olivier ha incarnato indubbiamente sulla scena e sul set britannico per lungo tempo la figura dell' Interprete shakespeariano in assoluto. Pertanto questa traduzione dell' Enrico V per lo schermo non poteva non essere attesa come un evento per il cinema britannico che, all'epoca, trovava le proprie modalità di sopravvivenza all'interno di un conflitto sempre più devastante. Olivier così si esprime nel volume On Acting (Simon & Schuster, 1986): "Avevo una missione...Il mio paese era in guerra; sentivo Shakespeare dentro di me e il cinema dentro di lui. Sapevo ciò che volevo fare e quello che lui avrebbe fatto". Autoinvestendosi di un tale 'mandato' Olivier non poteva non affrontare il testo se non prendendo le mosse da quanto è già presente nel prologo. Nel testo shakespeariano viene denunciata la limitatezza della' O' dello spazio del Globe Theatre. Si chiede pertanto agli spettatori di annnullarla travalicandola grazie all'uso dell'immaginazione. Solo grazie ad essa si potranno vedere porti d'imbarco, grandi navi cariche di soldati e vasti campi di battaglia su cui uomini a piedi e a cavallo si affrontano con durezza.
Olivier fa diventare 'cinema' questa autodenuncia shakespeariana. Apre quindi il film con un'ampia panoramica su una ricostruzione della città in cui le parole dell'autore divenivano rappresentazione teatrale. La macchina da presa va poi a 'stringere' proprio sul Globe nel momento in cui viene issata l'insegna. La rappresentazione sta per avere inizio, i musici prendono posto mentre il pubblico (delle diverse fasce sociali) affluisce sempre più numeroso fino ad occupare tutti gli spazi disponibili.
Olivier compie una ricostruzione filologica dell'interazione che si veniva a costruire tra attori e pubblico sin da queste prime ìnquadrature. Al contrario però di quanto un pubblico cinematograficamente 'ingenuo' potrebbe aspettarsi, non abbandona rapidamente la dimensione del palcoscenico per ambientare la vicenda in dimensioni 'da cinema'. Resta anzi a lungo nel Globe in cui ambienta il dialogo con i prelati e l'arrivo dell'ambascaitore di Francia. Non trascura neppure di mostrarci quanto accade dietro le quinte cominciando così a 'dichiarare' le potenzialità del cinema che può consentire un'ampia possibilità di 'svelamento' di quanto è nascosto. Solo successivamente la 'fantasia' degli spettatori troverà aiuto nel mezzo che la condurrà al di là delle mura del Globe. Anche in questo caso però conserverà, in alcune sequenze, una scenografia dichiaratamente 'finta' quasi a segnare una fase di passaggio tra la scena e il set. Essendo questo, al di là dello sviluppo della vicenda che potrà essere adeguatamente analizzato in sede letteraria, ci sembra opportuno riportare in questa sede un approfondimento di Peter S. Donaldson autore del volume Shakesperean films/Shakesperean directors ( Boston, Unwin Hyman, 1990). Donaldson così scrive: " Robert Weimann ha descritto l'interazione di livelli di rappresentazione sulla scena Elisabettiana come una tensione tra la platea, o funzione performativa, e il locus, o funzione rappresentativa, come eredità della pratica medioevale adattata all'edificio tetrale. La platea era approssimativamente la parte inferiore della larga piattaforma del palcoscenico; qui gli attori potevano interagire con il pubblico e muoversi liberamente dentro e fuori dal ruolo (...) Sulla parte superiore della scena , o locus, l'impersonificazione prendeva il sopravvento sull'interpretazione, prevaleva un maggiore decoro e la doppiezza di attore e ruolo era meno enfatizzata. Questa era il 'luogo' narrativo o storico e conservava tracce della santità o alta serietà delle rappresentazioni bibliche o dei 'mistery plays' medioevali da cui derivava. La potenzialità sovversiva della scena è collegata a questa distinzione: i re possono non essere migliori dei cenciosi attori che li portano in scena. Indisciplinata e carnevalesca, l'irrispettosa platea sgonfia e critica l'ideologia ufficiale. La rappresentazione del palcoscenico elisabettiano, che precede Weimann , osserva una distinzione tra 'downstage' e 'upstage' sfrutta in parte il potenziale antiautoritario: l'indegna clownerie del vescovo di Ely e dell'arcivescovo di Canterbury nell'esporre la legge salica ha luogo 'downstage' così come l'offensivo dono delle palle da tennis al re, mentre la parte superiore è riservata al trono ed è trattata con maggiore dignità e una più completa identificazione dell'attore con il ruolo storico. Ancor più Olivier segna la differenza tra locus e platea nella relazione che intercorre tra la sala Elisabettiana intesa come un intero e lo spazio cinematografico più realistico e storico che la sostituisce."