An initiative of the EU MEDIA
Programme with the support of the Italian Government
Since 1992 MEDIA Salles has been promoting the European cinema and its
circulation at theatrical level
Edizione per l’Italia
n. 4 – “Speciale ShowEast” – anno VII –
ottobre 2005
LA PRODUZIONE ITALIANA DALL’EUROPA
ALLA CINA Intervista a Gianni Amelio
Da Il Ladro di Bambini
a Le Chiavi di Casa – che, dopo i successi europei,
è approdato già nelle sale di Messico, Argentina e che,
a dicembre, uscirà in Colombia – i film di Gianni Amelio
hanno avuto importanti riconoscimenti in Italia, grande attenzione
da parte del pubblico e una distribuzione internazionale che li ha
fatti conoscere in molti paesi, dagli Stati Uniti alla Germania, dai
Paesi Bassi alla Grecia, al Regno Unito. A spiegare i fattori chiave
di questo successo è il regista in prima persona, che parla
anche del suo ultimo film, a breve nelle sale italiane, La Stella
Che Non C'è.
Signor Amelio, quali sono, a
suo parere, gli elementi che hanno fatto amare i suoi film al pubblico
italiano e li hanno resi capaci di varcare le frontiere nazionali?
Se c’è una cosa che a un regista non è dato conoscere,
è per quale misteriosa ragione un film diventi popolare. Se
conoscessimo il segreto della popolarità, saremmo tutti più
felici di fare questo mestiere. Forse a una domanda come la sua può
rispondere più lo spettatore che l’autore. Io posso solo
fare un’ipotesi: aver cercato sempre di raccontare storie di
sentimenti forti, con un linguaggio semplice, accessibile, non mettendo
mai le ambizioni dello stile davanti alle ragioni del cuore.
In Le Chiavi di Casa
l'incontro tra padre e figlio avviene a Berlino, in La Stella
Che Non C'è teatro dei fatti è la Cina. Quali i
motivi che l'hanno spinta ad ambientare all'estero, a differenza dei
racconti cui i suoi film si ispirano – Nati Due Volte
di Pontiggia e La Dismissione di Ermanno Rea – queste
due storie?
Ho ambientato fuori dall’Italia entrambi i miei ultimi film,
ma per ragioni profondamente diverse. In Le Chiavi di Casa,
Berlino era una tela di fondo, un luogo alieno dove l’incomunicabilità
e la solitudine del padre e del figlio potesse avere il giusto risalto.
Non c’era, cioè, dato il tipo di storia, nessuna volontà
di raccontare Berlino. In La Stella Che Non C'è, la
Cina è protagonista, anche se è vista con gli occhi
di un Italiano.
La globalizzazione ridefinisce,
pressoché ovunque, la struttura del lavoro e, con esso, anche
le relazioni umane di cui esso è composto. Questa ridefinizione
fa spesso paura e solleva molte domande. In La Stella Che Non
C'è viene azzardata anche qualche risposta?
Diciamo pure che mi sento nella stessa condizione di chi si pone le
domande, e non in quella di chi trova le risposte. Non tutte almeno,
e forse non quelle giuste.
Vuole raccontarci l'esperienza,
umana e professionale, di girare un film in un paese come la Cina?
Ci vorrebbe un libro per raccontare quest’esperienza. Spero
che traspaia dal film. Girando in Cina, ero nella condizione ideale
per poter capire, passo dopo passo, i sentimenti del mio protagonista.
Tutti e due abbiamo fatto lo stesso viaggio, e tutti e due non da
turisti. Forse un paese non lo si conosce mai fino in fondo, se non
si vive a stretto contatto con i suoi abitanti. Perciò, quello
che ho imparato dalla Cina non l’ho imparato dai paesaggi e
dai monumenti, ma dalle persone che ho avuto accanto nel mio lavoro.