LA PRODUZIONE ITALIANA DALL’EUROPA ALLA
CINA “Forse un paese non lo si conosce fino in fondo, se non si vive a stretto contatto con i suoi abitanti. Perciò, quello che ho imparato dalla Cina non l’ho imparato dai paesaggi e dai monumenti, ma dalle persone che ho avuto accanto nel mio lavoro”. Così il regista italiano Gianni Amelio ci racconta del suo ultimo film, a breve nelle sale italiane, La Stella Che Non C'È, che proprio in Cina è girato e ambientato e che promette di avere lo stesso successo degli altri suoi film, che hanno avuto importanti riconoscimenti in Italia, grande attenzione da parte del pubblico e una distribuzione internazionale che li ha fatti conoscere in molti paesi, dagli Stati Uniti alla Germania, dai Paesi Bassi alla Grecia, al Regno Unito. Tra i suoi più recenti lavori, Le Chiavi di Casa: dopo i successi europei, sarà sugli schermi giapponesi ad aprile 2006. Signor Amelio, quali sono, a suo
parere, gli elementi che hanno fatto amare i suoi film al pubblico italiano
e li hanno resi capaci di varcare le frontiere nazionali? Ne Le Chiavi di Casa l'incontro
tra padre e figlio avviene a Berlino, ne La Stella Che Non C'È
teatro dei fatti è la Cina. Quali i motivi che l'hanno spinta
ad ambientare all'estero, a differenza dei racconti cui i suoi film
si ispirano – Nati Due Volte di Pontiggia e La Dismissione
di Ermanno Rea – queste due storie? La globalizzazione ridefinisce,
pressoché ovunque, la struttura del lavoro e, con esso, anche
le relazioni umane di cui esso è composto. Questa ridefinizione
fa spesso paura e solleva molte domande. Ne La Stella Che Non C'È
viene azzardata anche qualche risposta? Vuole raccontarci l'esperienza,
umana e professionale, di girare un film in un paese come la Cina? Maria Vittoria Gatti
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