PRODURRE FILM CHE VARCHINO LE FRONTIERE NAZIONALI
Intervista a Elda Ferri

“Se non c'è la storia, non c'è storia”. A parlare è Elda Ferri, produttrice che, in questi anni, ha realizzato alcuni tra i film italiani di maggiore rilievo e successo, tra cui il premio Oscar per il miglior film straniero La Vita È Bella di Roberto Benigni, Le Chiavi di Casa di Gianni Amelio, e quasi per intero la filmografia di Roberto Faenza, da Jona che Visse nella Balena a Sostiene Pereira alla sua più recente opera, I Giorni dell'Abbandono, in concorso all'ultima Mostra di Venezia e di prossima uscita in Brasile. Il soggetto e la trama, dunque, al centro del film, e della sua possibile fortuna anche all'estero. Sì, perché, più essi avranno valore universale, più saranno condivisibili anche in paesi diversi da quello in cui il film è nato. E, a suffragio della sua tesi, Ferri non prende in prestito le parole di un cineasta, ma di uno psicanalista, l'italiano Musatti: “Una volta in sala, è l'inconscio dello spettatore a entrare in relazione con le immagini sullo schermo”. Per questo paura, passione, amore, sono corde che, una volta toccate, promettono di sortire un effetto molto simile, in Francia come in Cina. “Un cinema di sentimenti, potrebbe essere italiano o canadese, poco importa”. Così è per I Giorni dell'Abbandono, al cui centro vi è “uno dei temi cardine della nostra società, l'autostima”. Così per La Tigre e La Neve, dove poesia, guerra, sofferenza e amore si tengono insieme e promettono di condurre lo spettatore ben al di là dei confini fisici nei quali si dipana la storia, tra Italia e Iraq.

Eppure, non tutte le storie belle e dal respiro universale riescono a viaggiare per il mondo. Perché?
Se molto dipende dalla trama, dalla storia, molto è legato alla promozione. I film americani, ad esempio, sono anticipati da grandi campagne. E non è un caso che, in America, per i film a grosso budget l'investimento in P&A sia quasi uguale a quello nella produzione, mentre da noi il rapporto è all'incirca di 1 a 20. Ma, anche se con un budget più ridotto, è indispensabile che noi rendiamo più efficace la nostra capacità di promozione. Anche perché, in una realtà sempre più omologata, il primo che si inventa qualcosa vince. E vincere è necessario perché, a mio avviso, oggi è difficile coprire i costi di produzione se il film non varca le frontiere nazionali.

Ma per uscire dalle frontiere c'è bisogno di molte energie. Chi può permettersele?
La grande differenza è tra l'avere già garantito dal distributore nazionale il contatto con un distributore o agente estero, e il procedere autonomamente. Per quanto mi riguarda, ad esempio, Le Chiavi di Casa è stato coprodotto con Rai Cinema. Questo ha reso le cose molto più facili, perché la Rai ha un accordo per cui tutti i suoi film li prende Lakeshore Entertainment, e a noi dà un minimo garantito. Si tratta di una cosa straordinaria perché i film, poi, girano davvero. Ma per molti film italiani il problema è avere la società che fa questo lavoro, che crede nella distribuzione estera di un'opera e vi investe, e per questo è molto difficile riuscire a vendere al di fuori delle proprie frontiere. Una parziale eccezione è rappresentata dalle coproduzioni. Queste, infatti, sono solitamente distribuite almeno all'interno dei paesi coproduttori.

In questo scenario, che ruolo hanno i festival? Rappresentano o no un trampolino di lancio per i film?
Senza dubbio sì. Al solo sapere che I Giorni dell'Abbandono era in concorso a Venezia, infatti, in Spagna, Inghilterra, Germania e Svizzera i distributori hanno pensato fosse meglio arrivare per primi e hanno richiesto di visionare il film. In questo senso, la visibilità che un festival offre al film è indiscussa. Se, poi, come in questo caso, il film è tratto da un romanzo, la popolarità di questo incide fortemente sull'accoglienza che la pellicola riceverà. Il bel libro di Elena Ferrante, infatti, da cui il film è tratto, è stato tradotto in molti paesi europei. Questo aumenta molto l'interesse nei confronti dell'uscita della pellicola in sala.

Se dovesse indicare una formula di promozione compatibile con un budget “italiano”, che cosa suggerirebbe?
Se parliamo di film costruiti su grandi temi, credo che una formula interessante sia quella che abbiamo già sperimentato in più occasioni: una campagna legata al tema portante del film. Ad esempio, per Alla Luce del Sole, storia di Don Puglisi, il prete di Palermo ucciso dalla mafia, abbiamo organizzato incontri, aperti alle scuole, con personalità impegnate in prima linea sul fronte della legalità, che si sono confrontate con i ragazzi sui temi della giustizia e del rapporto con norme che si percepiscono come ingiuste. È stato un successo: circa 400.000 ragazzi vi hanno preso parte. Per I Giorni dell'Abbandono, invece, abbiamo progettato tavole rotonde con “abbandonati famosi” sui temi della fedeltà, del tradimento, della fiducia in sé. Perché, per noi, un film deve suscitare emozioni, ma non solo: deve anche far sì che, dopo la sua visione, resti qualcosa di non banale da dire.