Contributo di MEDIA Salles,
alle “Rencontres de Lille”, 30 ottobre 2004
Quali sale?
Anni '90: un decennio di trasformazioni delle strutture e delle
modalità del consumo di cinema in sala*
Il grande schermo, la compagnia degli amici: queste
sono le caratteristiche che fanno del cinema in sala un’esperienza
speciale e lo rendono preferibile alle altre modalità di
fruizione del film.
E’ quanto emerge da un'indagine condotta in tutta Europa da
MEDIA Salles e dedicata agli “spettatori in erba”, cioè
a bambini dagli 8 agli 11 anni.
E’ interessante notare come queste osservazioni trasferite
nel mondo dei “grandi” possano essere utilizzate anche
come chiavi di lettura della trasformazione della struttura dell’esercizio
cinematografico in Europa e del mutamento delle modalità
di consumo del cinema in sala nel corso degli anni ’90.
I bambini hanno detto di amare il “grande schermo”,
perché la “grandezza” fa la differenza rispetto
al film in tv o in videocassetta e rende le immagini e le storie
più coinvolgenti ed emozionanti. Ai bambini piace la “socialità”
legata all’andare al cinema.
Nel linguaggio degli adulti, se si guardano le caratteristiche dei
cinema affermatisi negli anni ’90, “grande schermo”
significa tecnologia e confort, cioè sale accoglienti, che
garantiscano un’ottima qualità del suono e della visione.
La domanda di convivialità e di socializzazione, legata all’andare
al cinema, ha avuto una risposta nell’inserimento della sala
in contesti che consentono altri modi di utilizzo del tempo libero:
sport, divertimenti, shopping, ristoranti.
L’ottica è quella di trasformare la visione del film
in una occasione “speciale” da più punti di vista,
l’obiettivo è quello di portare lo spettatore a scegliere
non solo (o non tanto) il film, quanto la sala, per la molteplicità
di “bisogni” che riesce a soddisfare.
Anche solo un rapido sguardo alla trasformazione della struttura
della sala e della sua collocazione sul territorio negli ultimi
decenni ci permette di cogliere il senso di questo fenomeno.
Negli anni ’70, in paesi come la Francia e la Germania, la
prima reazione degli esercenti cinematografici di fronte alla concorrenza
della televisione, causa principale del crollo della frequenza nelle
sale, era stata la suddivisione del cinema di stampo tradizionale
- tanti posti - collocazione al centro della città - in una
multisala con più schermi di dimensioni minori.
II ricorso alla suddivisione degli spazi era stato in certi casi
talmente esasperato da creare le cosiddette “multiscatole”,
strutture in cui gli schermi diventavano così piccoli da
non offrire una sostanziale differenza qualitativa rispetto alla
visione in tv. Questa formula, che ha in un primo tempo attirato
gli spettatori per la pluralità di titoli offerti in uno
stesso contenitore, ha ben presto iniziato a soffrire per la sua
inadeguatezza tecnologica.
Gli anni ’80 hanno visto l’affacciarsi in Europa del
modello “multiplex”. Nato negli USA, prevede una struttura
concepita “ex novo” per ospitare una pluralità
di schermi di taglia diversa, tale da consentire allo spettatore
un’ampia scelta e all’esercente non solo economie di
scala, ma anche la possibilità di sfruttare la coda della
domanda di ogni film. Seppur in modo diverso a seconda delle peculiarità
dei mercati e delle strategie aziendali, la qualità del suono
e dell’immagine, nonché la varietà dei servizi
offerti agli spettatori, sono elementi comuni ai vari tipi di multiplex.
Queste nuove strutture, per le loro dimensioni, richiedono ampi
spazi, reperibili generalmente nelle zone periferiche e negli insediamenti
urbani più recenti. L’automobile è diventata
di conseguenza un elemento essenziale: a queste strutture si accede
generalmente solo con i mezzi privati. Il parcheggio ampio è
quindi un imprescindibile complemento del multiplex.
L’esperienza dei complessi sinora esistenti ha mostrato che
la clientela è mediamente disposta a guidare fino a 30 minuti
per recarsi al cinema. Ma a fronte di uno spostamento di un’ora
vuole trovare nello stesso luogo anche la possibilità di
dedicarsi ad altre attività.
Gli anni ’90 hanno visto sia l’insediamento dei multiplex
in tutti i paesi europei, dopo il ruolo “pionieristico”
svolto soprattutto da Regno Unito e Belgio, sia lo sviluppo dei
modelli integrati cinema/shopping/ristorazione/divertimenti/sport.
Sono cambiate anche le abitudini degli spettatori. Se negli anni
’50, il cinema, cioè la monosala tradizionale, era
“sotto casa”, i multiplex oggi hanno concentrato gli
schermi in un numero di punti sul territorio relativamente più
basso.
Non solo si tende a pensare sempre di più al cinema come
a un servizio collocato ai margini delle città e lungo gli
assi stradali che solcano le zone più densamente abitate
di ogni paese, non solo si va al cinema in auto, ma anche si è
ormai diffusa ovunque l’abitudine di prenotare i biglietti
in anticipo, di inserire la visione di un film in un più
vasto programma di impiego del tempo. Può trattarsi del sabato
pomeriggio passato a far compere al centro commerciale o delle “lunghe”
notti del week-end, che possono comprendere la visione di un film
all’una del mattino.
Questo modo di “vivere il cinema” non soddisfa tutti
i segmenti di pubblico: i clienti più affezionati dei multiplex
sono soprattutto i giovani tra i 18 e i 30 anni, dotati di automobile,
attratti dal servizio globale e dalla fisionomia di un certo tipo
di cinema piuttosto che spinti dal desiderio di vedere un certo
film.
L’obiettivo di non trascurare altri tipi di spettatori (da
quelli sopra i trent’anni, a quelli che non vogliono o non
possono usare l’automobile, da quelli che non amano il “profumo”
del pop-corn a quelli che scelgono innanzitutto il titolo del film)
è una delle ragioni dell’affermazione di altre tipologie
di complessi cinematografici.
A queste ragioni si associa spesso la “reazione” ai
cosiddetti effetti “indesiderati” della diffusione del
multiplex nella sua formulazione più classica che, pur consci
della semplificazione eccessiva, potremmo definire “periferia/pop-corn/blockbusters”.
Uno di questi effetti è la crisi e la sparizione delle sale
dai centri cittadini che per molte ragioni – a partire dalla
mancanza di spazi – non reggono la concorrenza. Questo fenomeno
è giunto ad allarmare non solo le imprese di esercizio coinvolte,
ma anche gli amministratori pubblici dei centri interessati. Un
quartiere che perde i cinema, facilmente perde le attività
commerciali ad esso legate: dalla pizzerie alle librerie.
Gli anni ’90 hanno dunque visto un ripensamento, sia dell’industria
sia dei politici, sulla localizzazione dei complessi cinematografici.
Il caso forse più significativo è quello del Regno
Unito. Considerato come la patria europea del multiplex, caratterizzato
da una prassi assolutamente liberista e da un intervento dei poteri
pubblici nell’industria dell’audiovisivo decisamente
meno importante di quello francese o italiano, questo paese ha adottato
provvedimenti miranti a salvaguardare la vitalità e la vivibilità
dei centri cittadini compromesse dallo spostamento delle attività
commerciali nelle aree ai margini dei grandi insediamenti urbani.
Tali provvedimenti si applicano anche alle sale cinematografiche,
il cui ruolo viene dunque ritenuto qualificante per la vita della
città.
Di fronte al pericolo del degrado dei centri cittadini, le fine
degli anni ’90 ha visto il rilancio del concetto del cinema
“de proximité”, che deve poter convivere con
multiplex e megaplex.
Cityplex, miniplex sono nomi spesso utilizzati per identificare
questi complessi. Una definizione univoca non è sicuramente
possibile. Quello che è certo è che anche questi cinema,
spesso pensati per un pubblico più maturo ed esigente, devono
garantire allo spettatore la possibilità di scegliere tra
più titoli, tecnologia di elevata qualità e servizi
accessori.
Quale che sia la formula scelta per le sale di nuova generazione,
è chiaro che gli anni ’80 e più ancora gli anni
’90 hanno rappresentato per l’esercizio un periodo di
investimenti come più non capitava dagli anni ’50.
Quali sono stati i risultati in termini quantitativi? Negli anni
’90 gli spettatori in Europa Occidentale sono senz’altro
aumentati: sono infatti passati da circa 600 milioni (1989) a oltre
900 (2001). L’aver puntato su quelle caratteristiche che i
bambini hanno individuato come essenziali del cinema - grande schermo
e convivialità - sembra essere stata una scelta vincente.
Ma nel “mondo dei grandi” bisogna essere consapevoli
che la direttrice su cui è prevalentemente avvenuta la trasformazione
dell’esercizio, ovvero lo sviluppo dei multiplex (nel 1999
i complessi con almeno 8 schermi rappresentavano circa il 15% dell'offerta,
nel 2003 circa il 30%) ha avuto anche gli effetti indesiderati che
abbiamo citato. Ciò che, inoltre, preoccupa imprese private
e istituzioni è che non si sono pienamente avverate le ottimistiche
previsioni di una crescita della frequenza media annua per abitante
che avrebbe avvicinato l'Europa agli Stati Uniti. Oltreoceano ogni
cittadino compra oltre 5 biglietti l'anno, mentre in Europa Occidentale
la media è di circa 2,5.
Le questioni aperte
I primi anni del Duemila: è la diversificazione
la parola chiave per lo sviluppo?
Sale diverse per pubblici diversi
Puntare ad una sola tipologia di esercizio vuol
dire limitare la possibilità di offerta cinematografica e,
più in generale, di sviluppo della frequenza cinematografica.
L'obiettivo deve essere quello di cercare di mantenere un panorama
variegato che alla fine andrà a vantaggio del cinema, degli
spettatori, delle comunità locali. Variando la tipologia
dell’esercizio varia anche quella del prodotto. Al grande
esercizio interessano solo i film che incassano; solo quando un
film d’essai incomincia ad essere interessante sotto questo
aspetto viene preso in considerazione dal grande esercizio. Ma non
è così che si mantiene in vita il cinema europeo.
Questa realtà ha bisogno di poter contare sia su un numero
significativo di schermi destinati appunto alla programmazione di
cinema di qualità – che per me equivale a circa un
terzo di quelli attivi sul territorio – sia su un numero sufficiente
di copie distribuite.
La tecnologia può aiutare le sale a diversificare
la loro offerta?
Dal corso di formazione recentemente svolto da MEDIA Salles, intitolato
"DigiTraining Plus: New Technologies for European Cinemas",
è emerso che uno dei motivi prevalenti nell'interesse degli
esercenti per la proiezione digitale è rappresentato dalla
possibilità di diversificare l'offerta. C'è però
veramente da aspettarsi che benefici come minor costo e maggiore
flessibilità si tradurranno in un’offerta quantitativamente
e qualitativamente migliore per il pubblico? Ovvero le sale potranno
proporre un’offerta più diversificata, che comprenda
anche film la cui distribuzione risulta attualmente poco economica,
o i vantaggi distributivi andranno a favore di una presenza ancora
più massiccia dei film che già ora arrivano a coprire
anche più del 30% degli schermi di un paese?
*Aggiornamento dell'articolo apparso sulla rivista
trimestrale "Cinecittà" 3/4.