An initiative of the EU MEDIA Programme with the support of the Italian Government
Since 1992 MEDIA Salles has been promoting the European cinema and its circulation at theatrical level

Contributo di MEDIA Salles,
alle “Rencontres de Lille”, 30 ottobre 2004

Quali sale?

Anni '90: un decennio di trasformazioni delle strutture e delle modalità del consumo di cinema in sala*

Il grande schermo, la compagnia degli amici: queste sono le caratteristiche che fanno del cinema in sala un’esperienza speciale e lo rendono preferibile alle altre modalità di fruizione del film.
E’ quanto emerge da un'indagine condotta in tutta Europa da MEDIA Salles e dedicata agli “spettatori in erba”, cioè a bambini dagli 8 agli 11 anni.
E’ interessante notare come queste osservazioni trasferite nel mondo dei “grandi” possano essere utilizzate anche come chiavi di lettura della trasformazione della struttura dell’esercizio cinematografico in Europa e del mutamento delle modalità di consumo del cinema in sala nel corso degli anni ’90.
I bambini hanno detto di amare il “grande schermo”, perché la “grandezza” fa la differenza rispetto al film in tv o in videocassetta e rende le immagini e le storie più coinvolgenti ed emozionanti. Ai bambini piace la “socialità” legata all’andare al cinema.
Nel linguaggio degli adulti, se si guardano le caratteristiche dei cinema affermatisi negli anni ’90, “grande schermo” significa tecnologia e confort, cioè sale accoglienti, che garantiscano un’ottima qualità del suono e della visione. La domanda di convivialità e di socializzazione, legata all’andare al cinema, ha avuto una risposta nell’inserimento della sala in contesti che consentono altri modi di utilizzo del tempo libero: sport, divertimenti, shopping, ristoranti.
L’ottica è quella di trasformare la visione del film in una occasione “speciale” da più punti di vista, l’obiettivo è quello di portare lo spettatore a scegliere non solo (o non tanto) il film, quanto la sala, per la molteplicità di “bisogni” che riesce a soddisfare.
Anche solo un rapido sguardo alla trasformazione della struttura della sala e della sua collocazione sul territorio negli ultimi decenni ci permette di cogliere il senso di questo fenomeno.
Negli anni ’70, in paesi come la Francia e la Germania, la prima reazione degli esercenti cinematografici di fronte alla concorrenza della televisione, causa principale del crollo della frequenza nelle sale, era stata la suddivisione del cinema di stampo tradizionale - tanti posti - collocazione al centro della città - in una multisala con più schermi di dimensioni minori.
II ricorso alla suddivisione degli spazi era stato in certi casi talmente esasperato da creare le cosiddette “multiscatole”, strutture in cui gli schermi diventavano così piccoli da non offrire una sostanziale differenza qualitativa rispetto alla visione in tv. Questa formula, che ha in un primo tempo attirato gli spettatori per la pluralità di titoli offerti in uno stesso contenitore, ha ben presto iniziato a soffrire per la sua inadeguatezza tecnologica.
Gli anni ’80 hanno visto l’affacciarsi in Europa del modello “multiplex”. Nato negli USA, prevede una struttura concepita “ex novo” per ospitare una pluralità di schermi di taglia diversa, tale da consentire allo spettatore un’ampia scelta e all’esercente non solo economie di scala, ma anche la possibilità di sfruttare la coda della domanda di ogni film. Seppur in modo diverso a seconda delle peculiarità dei mercati e delle strategie aziendali, la qualità del suono e dell’immagine, nonché la varietà dei servizi offerti agli spettatori, sono elementi comuni ai vari tipi di multiplex.
Queste nuove strutture, per le loro dimensioni, richiedono ampi spazi, reperibili generalmente nelle zone periferiche e negli insediamenti urbani più recenti. L’automobile è diventata di conseguenza un elemento essenziale: a queste strutture si accede generalmente solo con i mezzi privati. Il parcheggio ampio è quindi un imprescindibile complemento del multiplex.
L’esperienza dei complessi sinora esistenti ha mostrato che la clientela è mediamente disposta a guidare fino a 30 minuti per recarsi al cinema. Ma a fronte di uno spostamento di un’ora vuole trovare nello stesso luogo anche la possibilità di dedicarsi ad altre attività.
Gli anni ’90 hanno visto sia l’insediamento dei multiplex in tutti i paesi europei, dopo il ruolo “pionieristico” svolto soprattutto da Regno Unito e Belgio, sia lo sviluppo dei modelli integrati cinema/shopping/ristorazione/divertimenti/sport.
Sono cambiate anche le abitudini degli spettatori. Se negli anni ’50, il cinema, cioè la monosala tradizionale, era “sotto casa”, i multiplex oggi hanno concentrato gli schermi in un numero di punti sul territorio relativamente più basso.
Non solo si tende a pensare sempre di più al cinema come a un servizio collocato ai margini delle città e lungo gli assi stradali che solcano le zone più densamente abitate di ogni paese, non solo si va al cinema in auto, ma anche si è ormai diffusa ovunque l’abitudine di prenotare i biglietti in anticipo, di inserire la visione di un film in un più vasto programma di impiego del tempo. Può trattarsi del sabato pomeriggio passato a far compere al centro commerciale o delle “lunghe” notti del week-end, che possono comprendere la visione di un film all’una del mattino.
Questo modo di “vivere il cinema” non soddisfa tutti i segmenti di pubblico: i clienti più affezionati dei multiplex sono soprattutto i giovani tra i 18 e i 30 anni, dotati di automobile, attratti dal servizio globale e dalla fisionomia di un certo tipo di cinema piuttosto che spinti dal desiderio di vedere un certo film.
L’obiettivo di non trascurare altri tipi di spettatori (da quelli sopra i trent’anni, a quelli che non vogliono o non possono usare l’automobile, da quelli che non amano il “profumo” del pop-corn a quelli che scelgono innanzitutto il titolo del film) è una delle ragioni dell’affermazione di altre tipologie di complessi cinematografici.
A queste ragioni si associa spesso la “reazione” ai cosiddetti effetti “indesiderati” della diffusione del multiplex nella sua formulazione più classica che, pur consci della semplificazione eccessiva, potremmo definire “periferia/pop-corn/blockbusters”.
Uno di questi effetti è la crisi e la sparizione delle sale dai centri cittadini che per molte ragioni – a partire dalla mancanza di spazi – non reggono la concorrenza. Questo fenomeno è giunto ad allarmare non solo le imprese di esercizio coinvolte, ma anche gli amministratori pubblici dei centri interessati. Un quartiere che perde i cinema, facilmente perde le attività commerciali ad esso legate: dalla pizzerie alle librerie.
Gli anni ’90 hanno dunque visto un ripensamento, sia dell’industria sia dei politici, sulla localizzazione dei complessi cinematografici.
Il caso forse più significativo è quello del Regno Unito. Considerato come la patria europea del multiplex, caratterizzato da una prassi assolutamente liberista e da un intervento dei poteri pubblici nell’industria dell’audiovisivo decisamente meno importante di quello francese o italiano, questo paese ha adottato provvedimenti miranti a salvaguardare la vitalità e la vivibilità dei centri cittadini compromesse dallo spostamento delle attività commerciali nelle aree ai margini dei grandi insediamenti urbani.
Tali provvedimenti si applicano anche alle sale cinematografiche, il cui ruolo viene dunque ritenuto qualificante per la vita della città.
Di fronte al pericolo del degrado dei centri cittadini, le fine degli anni ’90 ha visto il rilancio del concetto del cinema “de proximité”, che deve poter convivere con multiplex e megaplex.
Cityplex, miniplex sono nomi spesso utilizzati per identificare questi complessi. Una definizione univoca non è sicuramente possibile. Quello che è certo è che anche questi cinema, spesso pensati per un pubblico più maturo ed esigente, devono garantire allo spettatore la possibilità di scegliere tra più titoli, tecnologia di elevata qualità e servizi accessori.
Quale che sia la formula scelta per le sale di nuova generazione, è chiaro che gli anni ’80 e più ancora gli anni ’90 hanno rappresentato per l’esercizio un periodo di investimenti come più non capitava dagli anni ’50.
Quali sono stati i risultati in termini quantitativi? Negli anni ’90 gli spettatori in Europa Occidentale sono senz’altro aumentati: sono infatti passati da circa 600 milioni (1989) a oltre 900 (2001). L’aver puntato su quelle caratteristiche che i bambini hanno individuato come essenziali del cinema - grande schermo e convivialità - sembra essere stata una scelta vincente.
Ma nel “mondo dei grandi” bisogna essere consapevoli che la direttrice su cui è prevalentemente avvenuta la trasformazione dell’esercizio, ovvero lo sviluppo dei multiplex (nel 1999 i complessi con almeno 8 schermi rappresentavano circa il 15% dell'offerta, nel 2003 circa il 30%) ha avuto anche gli effetti indesiderati che abbiamo citato. Ciò che, inoltre, preoccupa imprese private e istituzioni è che non si sono pienamente avverate le ottimistiche previsioni di una crescita della frequenza media annua per abitante che avrebbe avvicinato l'Europa agli Stati Uniti. Oltreoceano ogni cittadino compra oltre 5 biglietti l'anno, mentre in Europa Occidentale la media è di circa 2,5.

Le questioni aperte

I primi anni del Duemila: è la diversificazione la parola chiave per lo sviluppo?

Sale diverse per pubblici diversi

Puntare ad una sola tipologia di esercizio vuol dire limitare la possibilità di offerta cinematografica e, più in generale, di sviluppo della frequenza cinematografica. L'obiettivo deve essere quello di cercare di mantenere un panorama variegato che alla fine andrà a vantaggio del cinema, degli spettatori, delle comunità locali. Variando la tipologia dell’esercizio varia anche quella del prodotto. Al grande esercizio interessano solo i film che incassano; solo quando un film d’essai incomincia ad essere interessante sotto questo aspetto viene preso in considerazione dal grande esercizio. Ma non è così che si mantiene in vita il cinema europeo. Questa realtà ha bisogno di poter contare sia su un numero significativo di schermi destinati appunto alla programmazione di cinema di qualità – che per me equivale a circa un terzo di quelli attivi sul territorio – sia su un numero sufficiente di copie distribuite.

La tecnologia può aiutare le sale a diversificare la loro offerta?
Dal corso di formazione recentemente svolto da MEDIA Salles, intitolato "DigiTraining Plus: New Technologies for European Cinemas", è emerso che uno dei motivi prevalenti nell'interesse degli esercenti per la proiezione digitale è rappresentato dalla possibilità di diversificare l'offerta. C'è però veramente da aspettarsi che benefici come minor costo e maggiore flessibilità si tradurranno in un’offerta quantitativamente e qualitativamente migliore per il pubblico? Ovvero le sale potranno proporre un’offerta più diversificata, che comprenda anche film la cui distribuzione risulta attualmente poco economica, o i vantaggi distributivi andranno a favore di una presenza ancora più massiccia dei film che già ora arrivano a coprire anche più del 30% degli schermi di un paese?

*Aggiornamento dell'articolo apparso sulla rivista trimestrale "Cinecittà" 3/4.