Dati generali
Produzione: | Orson Welles per Mercury Productions/Marceau Films/United Artists |
Regia e sceneggiatura: | Orson Welles |
Musica: | Francesco Lavagnino Alberto Barberis |
Fotografia: | Anchise Brizzi G. R. Aldo George Fanto Oberdan Troiani Alberto Fusi |
Montaggio: | Jean Sacha John Shepridge Renzo Lucidi William Morton |
Scenografia: Costumi: |
Alexander Trauner Maria De Matteis |
Interpreti: | Orson Welles (Otello) Micheàl McLiaoir (Jago) Suzanne Cloutier (Desdemona) Robert Coote (Roderigo) Michael Lawrence (Cassio) Hilton Edwards (Brabanzio) Fay Compton (Emilia) Doris Dowling (Bianca) Nicholas Bruce (Ludovico) Jean Davis (Montano) Joseph Cotten (un senatore) Joan Fontaine (un paggio) |
Distribuzione: | Bim (versione originale restaurata e sottotitolata) |
Sinopsi
Nell'isola di Cipro si celebra, scandito dalle lugubri note del
Dies Irae, il duplice funerale di Otello e di sua moglie Desdemona. Viene
ricostruita la storia di questa sfortunata coppia di innamorati: Desdemona,
figlia del senatore veneziano Brabanzio, fugge di casa per sposare segretamente
Otello, valoroso generale moro al servizio della Repubblica di Venezia.
Jago, alfiere di Otello e segretamente innamorato di Desdemona, comunica
la notizia del matrimonio a Brabanzio, che a sua volta denuncia il Moro
al consiglio della Repubblica. Tuttavia, le parole dei due amanti sono
tanto appassionate da persuadere i governanti veneziani ad autorizzare
l'unione. Inoltre Otello, che è il condottiero più abile
e coraggioso di cui la Repubblica possa disporre in quel momento, viene
nominato comandante delle forze veneziane in Cipro nonchè
governatore dell'isola stessa, assediata dai Turchi. Giunto a Cipro, Otello
promuove Cassio - per il quale nutre grande affetto e fiducia - a suo luogotenente,
ma Jago è invidioso della posizione di Cassio e concepisce un piano
diabolico: dapprima mette in cattiva luce il rivale presso Otello facendolo
trovare ubriaco in mezzo a una festa, poi fa balenare nel Moro il dubbio
di una relazione tra Cassio e Desdemona. Cosi, quando questa interviene
perchè Cassio non venga punito, Otello, morso dalla gelosia,
rifiuta il perdono e ingiunge alla moglie di tenersi lontana da Cassio.
Ma Jago torna all'assalto, assicurando Otello di aver visto nelle mani
di Cassio un fazzoletto che era stato il primo dono del Moro a Desdemona.
Jago era riuscito a ottenerlo da sua moglie Emilia, dama di compagnia di
Desdemona, e lo aveva fatto pervenire a Bianca, una cortigiana che vive
con Cassio. Otello vede in questo la prova del tradimento di Desdemona,
e la sua mente vacilla a tal punto che la Repubblica lo solleva dal suo
incarico sostituendogli un altro governatore. Jago, per impedire che Cassio
possa discolparsi, lo uccide, e la medesima sorte tocca a Roderigo, un
nobile invaghito di Desdemona del quale si era servito per portare a compimento
il suo disegno. Otello, ormai pazzo di gelosia, strangola Desdemona; Emilia,
intuite le colpe di Jago, rivela al Moro le trame del marito, che per questa
sua confessione non esita ad assassinarla. A questo punto Otello, davanti
alla verità, non resiste al rimorso e si toglie la vita sul corpo
di Desdemona, mentre Jago resterà l'unico vivo a pagare per i delitti
da lui solo commessi e causati.
Da
Shakespeare a Welles
Per più di una ragione, la versione di Otello realizzata
da Orson Welles rappresenta un caso del tutto a sé stante, e non
solo all'interno degli specifici confini della filmografia shakespeariana.
Infatti, mai come in questa occasione l'eredità del drammaturgo
inglese si è trovata contemporaneamente a convergere da un lato
con una delle personalità artistiche e creative in assoluto più
rilevanti dell'intero primo secolo di storia del cinema, e dall'altro con
una serie di circostanze produttive quantomeno fortuite o rocambolesche,
capaci peraltro di influenzare - se non di determinare - la stessa fisionomia
complessiva del film.
Rimandando al paragrafo successivo le considerazioni di carattere
più strettamente linguistico, non è possibile fare a meno
di sottolineare come - a differenza di quanto è avvenuto altrove
- temi, personaggi e elementi "atmosferici" della tragedia originaria subiscano
qui un trattamento che li inscrive tout court, al di là di ogni
sudditanza, in un universo espressivo e stilistico ben preciso, strutturato
e riconoscibile, sottraendoli al pallido didascalismo "illustrativo" o
alle inutili e polverose sabbie mobili dell'accademia. Al pari degli altri
due film shakespeariani di Welles (Macbeth, 1948 e Falstaff, 1966), sia
pur con mezzi e lungo percorsi diversi, anche questo Otello esibisce fino
in fondo il marchio della personale idea di cinema (basata sull'annullamento
di ogni principio mimetico o "realistico" nella rappresentazione) che l'autore
americano ha perseguito nel corso di una carriera tanto controversa quanto
straordinariamente intensa. Rivendicando la totale autonomia del medium
cinematografico nei riguardi delle matrici - letterarie o teatrali che
siano - con le quali di volta in volta sceglie di confrontarsi, Welles
porta a termine un'operazione paragonabile a quella intrapresa da Verdi
nel corpo del medesimo testo di riferimento: così come il musicista
italiano si è "autorizzato", sostiene Welles, a discostarsi dal
dramma di Shakespeare ripercorrendolo alla luce degli strumenti linguistici
e scenici propri dell'opera lirica, analogamente un film può e deve
utilizzare immagini e suoni per compierne una "rilettura" in tutto e per
tutto cinematografica, nel senso pieno dell'espressione. Anche da un punto
di vista narrativo si prende alcune "libertà", tra le quali quella
di inscrivere fin dall'inizio la vicenda sotto il segno dell'ineluttabilità
di un destino tragico. La pellicola si apre infatti col funerale di Otello
e della moglie, il che rimanda immediatamente alla ricorrenza del motivo
della morte dei rispettivi protagonisti (malgrado Welles preferisca parlare
- con quel filo di snobismo che rientra a pieno titolo nel suo personaggio
- di semplici "coincidenze") negli incipit di alcuni importanti capitoli
della sua filmografia: Quarto potere, la sua opera prima (1941), e il successivo
Mr. Arkadin/Rapporto confidenziale (1955).
Un altro aspetto significativo risiede nei connotati e nei risvolti
"psicologici" assegnati a caratteri ormai entrati nell'immaginario degli
spettatori di quattro secoli (non va comunque dimenticato che Welles ha
- prima e dopo le sue imprese cinematografiche - portato in scena i drammi
shakespeariani anche a teatro, "lavorandoli" ulteriormente). Ad esempio,
secondo Welles, lo scatenarsi delle pulsioni distruttive di Otello va individuato
nella sua sostanziale estraneità all'universo femminile, che lo
porta a reagire alle provocazioni di Jago attraverso le modalità
"primitive" dettate dalla gelosia (che altro non è, in sostanza,
se non l'angoscia della perdita del "possesso" sull'oggetto del desiderio).
Curiosa è poi la battuta con la quale il regista replica a un'osservazione
di Peter Bogdanovich: "Non è capace (Otello, n.d.r.) di immaginare
una persona come Jago", dice Bogdanovich. "No, e con lui parecchi critici
shakespeariani. Da cui risulta che abbiamo otto biblioteche piene di spiegazioni
idiote di Jago, quando chiunque ha conosciuto uno Jago in vita sua, se
appena è uscito di casa", ribatte Welles, che tende quindi ad attribuire
all'alfiere del Moro una valenza - pressochè "metafisica" - di principio
negativo assoluto: un'impostazione osteggiata da molti, ma che in questo
contesto amplifica a dismisura la perversa fascinazione connaturata al
personaggio (al quale l'interpretazione dell'attore irlandese Micheal McLiammoir
aggiunge, come ammette lo stesso autore, un sottile ma sensibile "sottinteso
d'impotenza").
Numerosi altri sono i nodi che legano/differenziano la tradizione
scenica dell'Otello elisabettiano a questa sua "attualizzazione" filmica
(per citarne uno, i canoni della recitazione, che anche il pubblico italiano
ha potuto apprezzare durante il recente passaggio nelle sale della versione
originale restaurata). Tuttavia, come si è già accennato,
si tratta di questioni inerenti soprattutto alle peculiarità di
linguaggio (visivo e sonoro) che caratterizzano in maniera tutt'affatto
inconfondibile l'opera wellesiana, ed è su alcune di esse che varrà
la pena di soffermarsi.
Aspetti
linguistici
La genesi produttiva di questo Otello, oltre a fungere da paradigmatico
compendio delle incontrate da Welles lungo tutto l'arco della sua attività,
testimonia con altrettanta evidenza come, in certi casi, il cinema sia
in grado non solamente di aggirare, ma persino di incorporare talune circostanze
contingenti, fino a trasformarle in fattori attivi sul terreno delle scelte
linguistiche.
E' noto come Welles, accolto a braccia aperte come novello enfant
prodige dell'industria cinematografica (aveva infatti girato Quarto
potere, uno degli indiscussi capisaldi della storia del cinema, all'età
di soli 25 anni), si sia progressivamente guadagnato una solida fama di
"inaffidabile" presso i tycoons di Hollywood, che pur riconoscendo in lui
le stimmate del "genio" in anticipo sui tempi e coccolato dalla critica,
si tenevano alla larga dalle sue imprese temendo esiti fallimentari ai
riscontri del botteghino. Di conseguenza, Welles fu costretto a finanziare
i suoi progetti (sovente abbandonati proprio per mancanza di fondi) nei
modi pi disparati e avventurosi, investendovi tra l'altro gran parte dei
proventi dalla sua carriera parallela di attore "mercenario", non di rado
coinvolto in produzioni artisticamente trascurabili ma assai remunerative
sul piano commerciale.
Se tutto si costituiva, in un certo senso, la "norma", nel caso
di Otello la situazione arriva ad assumere contorni quasi romanzeschi,
tanto che oltre 25 anni pi tardi, nel 1978, il regista la ricostruì
in una lunga intervista filmata dal titolo Filmina Ottetto. Il fallimento
della casa di produzione che aveva messo in cantiere il film (l'italiana
Scalare); l'impossibilità di avere a disposizione il cast per il
tempo necessario alla lavorazione (tutti gli attori, Welles compreso, erano
impegnati contemporaneamente su altri set); i mille contrattempi che ostacolarono
la troupe nei suoi ripetuti spostamenti tra il Marocco e l'Italia (durati
pi di un anno, per un totale di una decina di locations differenti): questi
ed altri fattori concomitanti spezzettarono le riprese in una miriade di
frammenti sui quali non era certo agevole mantenere il controllo, e che
soprattutto dovevano essere poi ricomposti in sede di montaggio salvaguardando
la continuità del flusso narrativo.
Com'è facile immaginare, la fase di assemblaggio fu di fatto
piuttosto laboriosa, ma il risultato finale rappresenta probabilmente la
materializzazione pi lampante delle possibilità combinatorie del
montaggio cinematografico: la frammentazione, anzichè pesare come
un handicap, fu spinta da Welles alle estreme conseguenze, divenendo una
sorta di principio strutturale del film. In questo modo, grazie alle risorse
del campo-controcampo, inquadrature che potevano essere state girate in
spazi e in tempi assai diversi (ma appartenenti alla stessa sequenza se
non, in taluni casi, persino allo stesso dialogo) furono accostate a velocità
vertiginosa, riunificandosi in una nuova unita spazio-temporale e conferendo
all'azione i toni concitati e febbrili che la contraddistinguono. Inoltre,
Otello riafferma la consueta abilità di Welles nella selezione e
nella composizione dei piani (spesso sghembi, eccentrici e "impossibili")
e il suo proverbiale virtuosismo nei movimenti di macchina e nel gioco
sulla profondità di campo, nonchè una notevole qualità
nell'apporto degli altri collaboratori (in particolare Anchise Brizzi,
uno dei numerosi direttori della fotografia, il prodigioso scenografo Alexander
Trauner e il musicista Francesco Lavagnino, autore di una partitura di
grande effetto e solennità).
Tutti gli elementi citati, congiuntamente a un'illuminazione di
taglio decisamente contrastato ed "espressionista" - si pensi alla sequenza
d'apertura, con i cortei funebri in controluce che, disposti su piani differenti,
si alternano al sole accecante sotto il quale sta per compiersi il supplizio
di Jago - contribuiscono in misura determinante a licenziare un'Otello
capace di rifiutare gli stereotipi pi "tradizionali" a vantaggio di una
messa in scena di inaudita, vorticosa energia. Parimenti, non va sottovalutato
il magnetismo emanato da alcuni luoghi fisici dell'azione, come i sotterranei
del castello, perennemente invasi dall'acqua (in realtà un'antica
cisterna portoghese a Mazagan, in Marocco), o le scogliere e il mare agitato
che fanno da controcanto alla temperatura emotiva del decisivo confronto
tra Otello e Jago sugli spalti della fortezza. Ma i "segreti" che questo
film nasconde sono innumerevoli, e talora piuttosto divertenti: come quello
dei costumi attesi ma mai giunti sul set, che indussero Welles - che non
voleva interrompere la lavorazione - a farne a meno "reinventando" la scena
dell'assassinio di Roderigo in un bagno turco: ossia nell'unico luogo nel
quale, plausibilmente, non era necessario alcun tipo d'abbigliamento!