Otello
di Orson Welles
 
Sinopsi
Da Shakespeare a Welles
Aspetti linguistici
 

Dati generali
 
Produzione: Orson Welles per Mercury Productions/Marceau Films/United Artists 
Regia e sceneggiatura: Orson Welles
Musica: Francesco Lavagnino
Alberto Barberis
Fotografia: Anchise Brizzi
G. R. Aldo
George Fanto
Oberdan Troiani
Alberto Fusi
 
Montaggio: Jean Sacha
John Shepridge
Renzo Lucidi
William Morton
 
Scenografia:
Costumi:
Alexander Trauner
Maria De Matteis
Interpreti: Orson Welles (Otello)
Micheàl McLiaoir (Jago)
Suzanne Cloutier (Desdemona)
Robert Coote (Roderigo)
Michael Lawrence (Cassio)
Hilton Edwards (Brabanzio)
Fay Compton (Emilia)
Doris Dowling (Bianca)
Nicholas Bruce (Ludovico)
Jean Davis (Montano)
Joseph Cotten (un senatore)
Joan Fontaine (un paggio)
Distribuzione:  Bim (versione originale restaurata e sottotitolata)
Durata: 91' - Origine: Marocco, 1952

Sinopsi
Nell'isola di Cipro si celebra, scandito dalle lugubri note del Dies Irae, il duplice funerale di Otello e di sua moglie Desdemona. Viene ricostruita la storia di questa sfortunata coppia di innamorati: Desdemona, figlia del senatore veneziano Brabanzio, fugge di casa per sposare segretamente Otello, valoroso generale moro al servizio della Repubblica di Venezia. Jago, alfiere di Otello e segretamente innamorato di Desdemona, comunica la notizia del matrimonio a Brabanzio, che a sua volta denuncia il Moro al consiglio della Repubblica. Tuttavia, le parole dei due amanti sono tanto appassionate da persuadere i governanti veneziani ad autorizzare l'unione. Inoltre Otello, che è il condottiero più abile e coraggioso di cui la Repubblica possa disporre in quel momento, viene nominato comandante delle forze veneziane in Cipro nonchè  governatore dell'isola stessa, assediata dai Turchi. Giunto a Cipro, Otello promuove Cassio - per il quale nutre grande affetto e fiducia - a suo luogotenente, ma Jago è invidioso della posizione di Cassio e concepisce un piano diabolico: dapprima mette in cattiva luce il rivale presso Otello facendolo trovare ubriaco in mezzo a una festa, poi fa balenare nel Moro il dubbio di una relazione tra Cassio e Desdemona. Cosi, quando questa interviene perchè  Cassio non venga punito, Otello, morso dalla gelosia, rifiuta il perdono e ingiunge alla moglie di tenersi lontana da Cassio. Ma Jago torna all'assalto, assicurando Otello di aver visto nelle mani di Cassio un fazzoletto che era stato il primo dono del Moro a Desdemona. Jago era riuscito a ottenerlo da sua moglie Emilia, dama di compagnia di Desdemona, e lo aveva fatto pervenire a Bianca, una cortigiana che vive con Cassio. Otello vede in questo la prova del tradimento di Desdemona, e la sua mente vacilla a tal punto che la Repubblica lo solleva dal suo incarico sostituendogli un altro governatore. Jago, per impedire che Cassio possa discolparsi, lo uccide, e la medesima sorte tocca a Roderigo, un nobile invaghito di Desdemona del quale si era servito per portare a compimento il suo disegno. Otello, ormai pazzo di gelosia, strangola Desdemona; Emilia, intuite le colpe di Jago, rivela al Moro le trame del marito, che per questa sua confessione non esita ad assassinarla. A questo punto Otello, davanti alla verità, non resiste al rimorso e si toglie la vita sul corpo di Desdemona, mentre Jago resterà l'unico vivo a pagare per i delitti da lui solo commessi e causati.
 
Da Shakespeare a Welles
Per più di una ragione, la versione di Otello realizzata da Orson Welles rappresenta un caso del tutto a sé stante, e non solo all'interno degli specifici confini della filmografia shakespeariana. Infatti, mai come in questa occasione l'eredità del drammaturgo inglese si è trovata contemporaneamente a convergere da un lato con una delle personalità artistiche e creative in assoluto più rilevanti dell'intero primo secolo di storia del cinema, e dall'altro con una serie di circostanze produttive quantomeno fortuite o rocambolesche, capaci peraltro di influenzare - se non di determinare - la stessa fisionomia complessiva del film.
Rimandando al paragrafo successivo le considerazioni di carattere più strettamente linguistico, non è possibile fare a meno di sottolineare come - a differenza di quanto è avvenuto altrove - temi, personaggi e elementi "atmosferici" della tragedia originaria subiscano qui un trattamento che li inscrive tout court, al di là di ogni sudditanza, in un universo espressivo e stilistico ben preciso, strutturato e riconoscibile, sottraendoli al pallido didascalismo "illustrativo" o alle inutili e polverose sabbie mobili dell'accademia. Al pari degli altri due film shakespeariani di Welles (Macbeth, 1948 e Falstaff, 1966), sia pur con mezzi e lungo percorsi diversi, anche questo Otello esibisce fino in fondo il marchio della personale idea di cinema (basata sull'annullamento di ogni principio mimetico o "realistico" nella rappresentazione) che l'autore americano ha perseguito nel corso di una carriera tanto controversa quanto straordinariamente intensa. Rivendicando la totale autonomia del medium cinematografico nei riguardi delle matrici - letterarie o teatrali che siano - con le quali di volta in volta sceglie di confrontarsi, Welles porta a termine un'operazione paragonabile a quella intrapresa da Verdi nel corpo del medesimo testo di riferimento: così come il musicista italiano si è "autorizzato", sostiene Welles, a discostarsi dal dramma di Shakespeare ripercorrendolo alla luce degli strumenti linguistici e scenici propri dell'opera lirica, analogamente un film può e deve utilizzare immagini e suoni per compierne una "rilettura" in tutto e per tutto cinematografica, nel senso pieno dell'espressione. Anche da un punto di vista narrativo si prende alcune "libertà", tra le quali quella di inscrivere fin dall'inizio la vicenda sotto il segno dell'ineluttabilità di un destino tragico. La pellicola si apre infatti col funerale di Otello e della moglie, il che rimanda immediatamente alla ricorrenza del motivo della morte dei rispettivi protagonisti (malgrado Welles preferisca parlare - con quel filo di snobismo che rientra a pieno titolo nel suo personaggio - di semplici "coincidenze") negli incipit di alcuni importanti capitoli della sua filmografia: Quarto potere, la sua opera prima (1941), e il successivo Mr. Arkadin/Rapporto confidenziale (1955).
Un altro aspetto significativo risiede nei connotati e nei risvolti "psicologici" assegnati a caratteri ormai entrati nell'immaginario degli spettatori di quattro secoli (non va comunque dimenticato che Welles ha - prima e dopo le sue imprese cinematografiche - portato in scena i drammi shakespeariani anche a teatro, "lavorandoli" ulteriormente). Ad esempio, secondo Welles, lo scatenarsi delle pulsioni distruttive di Otello va individuato nella sua sostanziale estraneità all'universo femminile, che lo porta a reagire alle provocazioni di Jago attraverso le modalità "primitive" dettate dalla gelosia (che altro non è, in sostanza, se non l'angoscia della perdita del "possesso" sull'oggetto del desiderio). Curiosa è poi la battuta con la quale il regista replica a un'osservazione di Peter Bogdanovich: "Non è capace (Otello, n.d.r.) di immaginare una persona come Jago", dice Bogdanovich. "No, e con lui parecchi critici shakespeariani. Da cui risulta che abbiamo otto biblioteche piene di spiegazioni idiote di Jago, quando chiunque ha conosciuto uno Jago in vita sua, se appena è uscito di casa", ribatte Welles, che tende quindi ad attribuire all'alfiere del Moro una valenza - pressochè "metafisica" - di principio negativo assoluto: un'impostazione osteggiata da molti, ma che in questo contesto amplifica a dismisura la perversa fascinazione connaturata al personaggio (al quale l'interpretazione dell'attore irlandese Micheal McLiammoir aggiunge, come ammette lo stesso autore, un sottile ma sensibile "sottinteso d'impotenza").
Numerosi altri sono i nodi che legano/differenziano la tradizione scenica dell'Otello elisabettiano a questa sua "attualizzazione" filmica (per citarne uno, i canoni della recitazione, che anche il pubblico italiano ha potuto apprezzare durante il recente passaggio nelle sale della versione originale restaurata). Tuttavia, come si è già accennato, si tratta di questioni inerenti soprattutto alle peculiarità di linguaggio (visivo e sonoro) che caratterizzano in maniera tutt'affatto inconfondibile l'opera wellesiana, ed è su alcune di esse che varrà la pena di soffermarsi.
 

Aspetti linguistici
La genesi produttiva di questo Otello, oltre a fungere da paradigmatico compendio delle incontrate da Welles lungo tutto l'arco della sua attività, testimonia con altrettanta evidenza come, in certi casi, il cinema sia in grado non solamente di aggirare, ma persino di incorporare talune circostanze contingenti, fino a trasformarle in fattori attivi sul terreno delle scelte linguistiche.
E' noto come Welles, accolto a braccia aperte come novello enfant prodige dell'industria cinematografica (aveva infatti girato Quarto potere, uno degli indiscussi capisaldi della storia del cinema, all'età di soli 25 anni), si sia progressivamente guadagnato una solida fama di "inaffidabile" presso i tycoons di Hollywood, che pur riconoscendo in lui le stimmate del "genio" in anticipo sui tempi e coccolato dalla critica, si tenevano alla larga dalle sue imprese temendo esiti fallimentari ai riscontri del botteghino. Di conseguenza, Welles fu costretto a finanziare i suoi progetti (sovente abbandonati proprio per mancanza di fondi) nei modi pi disparati e avventurosi, investendovi tra l'altro gran parte dei proventi dalla sua carriera parallela di attore "mercenario", non di rado coinvolto in produzioni artisticamente trascurabili ma assai remunerative sul piano commerciale.
Se tutto si costituiva, in un certo senso, la "norma", nel caso di Otello la situazione arriva ad assumere contorni quasi romanzeschi, tanto che oltre 25 anni pi tardi, nel 1978, il regista la ricostruì in una lunga intervista filmata dal titolo Filmina Ottetto. Il fallimento della casa di produzione che aveva messo in cantiere il film (l'italiana Scalare); l'impossibilità di avere a disposizione il cast per il tempo necessario alla lavorazione (tutti gli attori, Welles compreso, erano impegnati contemporaneamente su altri set); i mille contrattempi che ostacolarono la troupe nei suoi ripetuti spostamenti tra il Marocco e l'Italia (durati pi di un anno, per un totale di una decina di locations differenti): questi ed altri fattori concomitanti spezzettarono le riprese in una miriade di frammenti sui quali non era certo agevole mantenere il controllo, e che soprattutto dovevano essere poi ricomposti in sede di montaggio salvaguardando la continuità del flusso narrativo.
Com'è facile immaginare, la fase di assemblaggio fu di fatto piuttosto laboriosa, ma il risultato finale rappresenta probabilmente la materializzazione pi lampante delle possibilità combinatorie del montaggio cinematografico: la frammentazione, anzichè pesare come un handicap, fu spinta da Welles alle estreme conseguenze, divenendo una sorta di principio strutturale del film. In questo modo, grazie alle risorse del campo-controcampo, inquadrature che potevano essere state girate in spazi e in tempi assai diversi (ma appartenenti alla stessa sequenza se non, in taluni casi, persino allo stesso dialogo) furono accostate a velocità  vertiginosa, riunificandosi in una nuova unita spazio-temporale e conferendo all'azione i toni concitati e febbrili che la contraddistinguono. Inoltre, Otello riafferma la consueta abilità di Welles nella selezione e nella composizione dei piani (spesso sghembi, eccentrici e "impossibili") e il suo proverbiale virtuosismo nei movimenti di macchina e nel gioco sulla profondità di campo, nonchè  una notevole qualità nell'apporto degli altri collaboratori (in particolare Anchise Brizzi, uno dei numerosi direttori della fotografia, il prodigioso scenografo Alexander Trauner e il musicista Francesco Lavagnino, autore di una partitura di grande effetto e solennità).
Tutti gli elementi citati, congiuntamente a un'illuminazione di taglio decisamente contrastato ed "espressionista" - si pensi alla sequenza d'apertura, con i cortei funebri in controluce che, disposti su piani differenti, si alternano al sole accecante sotto il quale sta per compiersi il supplizio di Jago - contribuiscono in misura determinante a licenziare un'Otello capace di rifiutare gli stereotipi pi "tradizionali" a vantaggio di una messa in scena di inaudita, vorticosa energia. Parimenti, non va sottovalutato il magnetismo emanato da alcuni luoghi fisici dell'azione, come i sotterranei del castello, perennemente invasi dall'acqua (in realtà un'antica cisterna portoghese a Mazagan, in Marocco), o le scogliere e il mare agitato che fanno da controcanto alla temperatura emotiva del decisivo confronto tra Otello e Jago sugli spalti della fortezza. Ma i "segreti" che questo film nasconde sono innumerevoli, e talora piuttosto divertenti: come quello dei costumi attesi ma mai giunti sul set, che indussero Welles - che non voleva interrompere la lavorazione - a farne a meno "reinventando" la scena dell'assassinio di Roderigo in un bagno turco: ossia nell'unico luogo nel quale, plausibilmente, non era necessario alcun tipo d'abbigliamento!