An initiative of the EU MEDIA Programme with the support of the Italian Government
Since 1992 MEDIA Salles has been promoting the European cinema and its circulation at theatrical level

Sfiorano ormai quota tremila gli schermi del Giappone: una cifra da record, se si considera che nel 1993 il parco sale aveva toccato il minimo con 1.734 unità e che quindi l’incremento, in una dozzina di anni, è stato di circa il 70%.
I numeri di oggi significano che uno schermo serve oltre 43.000 Giapponesi. In Italia c’è uno schermo più o meno ogni 16.000 abitanti, negli Stati Uniti uno ogni 7.700.
La frequenza media annua è, nel paese del Sol Levante, una delle più basse tra quelle dei grandi mercati mondiali: 1,25 per abitante nel 2005. Continuando il paragone, si vede che in Italia la media è di circa 1,76, negli Stati Uniti di 4,70.
C’è ancora, dunque, la necessità di costruire nuove sale nell’intento di far aumentare la frequenza?
“I protagonisti dello sviluppo delle sale cinematografiche giapponesi ritengono che il mercato sia maturo”, afferma Mark Schilling, corrispondente da Tokyo per “Variety” e responsabile della selezione dei film giapponesi per il Far East Film Festival di Udine.
“Dopo quasi un ventennio che ha visto da una parte il frazionamento e l’ammodernamento delle grandi sale tradizionali nei centri urbani e dall’altra l’avvento di multiplex e multisale in abbinamento ai centri commerciali, il boom delle aperture può considerarsi esaurito”, continua Schilling.
Un’analisi che tenga in considerazione non solo i classici parametri “frequenza annua pro capite” e “numero di abitanti per schermo”, ma anche il numero di schermi per km2 sembra confermare questa visione prudente. Secondo quanto afferma J. Ph. Wolff, consulente scientifico dell’Annuario “European Cinema Yearbook” di MEDIA Salles, “maggiore è la densità della popolazione, minore può essere la densità degli schermi sul territorio per ottenere, quando le altre condizioni siano pari, un certo numero di presenze”.
Rispetto, infatti, alla densità dell’offerta cinematografica, il Giappone si presenta piuttosto “generoso”, offrendo uno schermo ogni 129 km2. In questo si avvicina all’Italia (uno schermo ogni 84 km2) e si distanzia moltissimo dagli Stati Uniti (uno schermo ogni 241 km2).
Questo può forse spiegare perché i gruppi stranieri di esercizio non abbiano, o – per meglio dire – non abbiano più, il Giappone tra le loro priorità. Dei grandi investitori che dagli anni Novanta avevano fatto il loro ingresso nel Paese, contribuendo in larga misura all’apertura di oltre mille schermi, è rimasto solo Warner Mycal, forte di circa 350 sale. In ordine di “disapparizione”, compaiono Virgin, approdata nel 1999 a Fukuoka per aprire quello che allora era il più grande multiplex del Paese, che nel 2003 ha ceduto le sue sale (81 in otto complessi) a Toho, quindi UCI, che nel 2004 ha ceduto le sue azioni ai partners locali (Sumitomo, socio di maggioranza, e Kadokawa) che operano col logo United Cinemas, ed infine AMC, che nel 2005 ha venduto i suoi cinque complessi, tutti caratterizzati da un numero di schermi piuttosto elevato, a United Cinemas.
Ad avere la leadership di un mercato che – grazie al prezzo medio del biglietto decisamente elevato (quasi 9 euro) se paragonato a quello dell’Europa Occidentale (intorno ai 6 euro) e degli Stati Uniti (circa 5,50 euro) – è uno dei più importanti del mondo, il gruppo Toho, noto in tutto il mondo come il “creatore” di Godzilla, verticalmente integrato dalla produzione all’esercizio.
Toho, insieme a una serie di società di grandi dimensioni, tutte giapponesi – all’infuori di Warner Mycal – come quelle già citate, ma anche Shochiku e Toei (attraverso la controllata T-Joy), gestisce un’offerta di schermi tendenzialmente sempre più all’americana, dove film fa rima con pop corn, coca cola e hot dog. I complessi di questo tipo sono spesso situati in centri commerciali e di intrattenimento, icona della vita giapponese di oggi e anticipazione di quella delle metropoli del prossimo futuro. Tra questi spicca Roppongi Hills, il luogo maggiormente visitato del Giappone – “anche più del locale Disneyland”, sottolinea Schilling. “Qui Toho gestisce un cinema che ha conservato anche il logo di Virgin, che ne aveva curato la progettazione, e che offre – per l’equivalente di poco meno di 22 euro – un trattamento di “prima classe” con un esplicito riferimento agli usi delle compagnie aeree, che si estende anche al sistema di fidelizzazione basato sulle miglia (un minuto di film = un miglio)”.
Non mancano, però, soprattutto a Tokyo e nelle altre otto maggiori città del Paese, schermi più tradizionali o più sofisticati, gestiti anche da società medio-piccole, dove l’accompagnamento del film può essere ancora il calamaro essiccato o già il cappuccino all’italiana. A questo proposito, non a caso si chiama “La dolce vita” il caffè di uno dei cinema di Tokyo più alla moda, sia tra gli “expatriates” sia tra i Giapponesi dai gusti più sofisticati. Si tratta del Cine Amuse, che, a Shibuya, il distretto cinematografico per eccellenza a Tokyo, offre titoli che spaziano dalla produzione indipendente nipponica al cinema del resto del mondo con taglio “d’essai”. Sempre a Shibuya, il Cinemarise, che si fa notare non solo per l’architettura avveniristica, ma anche per una programmazione che dà visibilità ad autori europei come Lars Von Trier o François Ozon, e l’Eurospace, gestito da un esercente/distributore a cui si devono la diffusione di un ventaglio di titoli “d’essai” che vanno dalla A di Almodóvar alla Z di Zhang Yimou passando per Kiarostami e Rohmer nonché la promozione di giovani autori del Sol Levante.
In un paese che ha diffuso un’immagine di sé altamente tecnologica e informatizzata, non poteva mancare l’offerta di cinema digitale: la fine del 2005 ha visto gli schermi già equipaggiati con la tecnologia DLP CinemaTM toccare quota 49, mentre sono stati annunciati accordi tra società giapponesi e americane, tra cui Warner e Toho, per la conduzione di esperimenti di distribuzione e proiezione secondo le specifiche di DCI, anche con risoluzione 4K. Ma per ora, pure nel tecnologico Giappone, la frontiera del 4K sembra ancora materia di esperimento più che realtà per gli spettatori.

Elisabetta Brunella