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Il Far East Film Festival, di cui si è appena conclusa l’ottava edizione, dichiara subito quali sono le sue intenzioni: si autopresenta, infatti, come il più grande festival di cinema popolare asiatico.
A Udine si possono, dunque, conoscere le pellicole che gli spettatori di paesi che vanno dalla Corea a Hong Kong, dalla Cina alla Tailandia, hanno visto sul grande schermo, soprattutto nell’anno appena trascorso. Non tanto, quindi, i cosiddetti “film da festival”, ma piuttosto quelli che sono stati proiettati nelle sale. Per questa sua strategia, il concorso di Udine offre pure un’occasione unica per capire le tendenze del cinema non solo in campo creativo e produttivo, ma anche dal punto di vista commerciale in mercati che vantano i più elevati tassi di crescita al mondo. Tra i paesi la cui situazione attuale è stata meglio rappresentata in termini quantitativi all’ultimo FEFF figura il Giappone, presente a Udine con otto titoli in concorso. E anche nel palmarès il cinema nipponico ha fatto la parte del leone, perdendo sì il premio del pubblico (andato al coreano Welcome to Dongmakgol), ma piazzando quattro sue opere nei primi otto posti.
A capire che cosa rappresentino questi titoli nell’offerta cinematografica del paese del Sol Levante ci aiuta Tokitoshi Shiota, direttore del festival di Yubari, dedicato al cinema fantastico.
Il Giappone non è sfuggito al fenomeno che ha segnato il consumo di cinema in sala nel 2005 in praticamente tutto il mondo, cioè il calo degli spettatori. Qui, però, la diminuzione rispetto al 2004 è stata contenuta al 6% e il volume totale delle presenze del 2005 (circa 160,5 milioni) è sostanzialmente in linea con quelli dell’ultimo quinquennio. L’anno appena trascorso ha comunque registrato un record molto importante: la quota di mercato dei film nazionali ha superato il 40% (per l’esattezza, 41,3%), cosa che non succedeva dal 1997.
“La produzione giapponese si è orientata – osserva Tokitoshi Shiota – su film in grado di attirare da una parte il pubblico giovane – cioè il “nocciolo duro” degli spettatori – e dall’altra gli ultrasessantenni, cioè coloro che oggi hanno tempo e denaro e, soprattutto, hanno mantenuto l’idea che il cinema si veda al cinema piuttosto che in casa propria”. Se il primo tipo di produzione si rifà alla cultura popolare che si è affermata in vari settori, a cominciare dalla musica per arrivare ai fumetti, il secondo tocca argomenti che attingono alla vita vissuta ed anche alla storia. In questo senso è assai significativo il successo di Otoko-tachi no Yamato, il film prodotto da Toei con grande dispendio di mezzi per narrare, sullo sfondo della Seconda Guerra Mondiale, le vicende dei giovani marinai imbarcati sulla Yamato, la nave da guerra varata pochi giorni dopo l’attacco di Pearl Harbour, cuore della strategia bellica del Giappone nell’Oceano Pacifico, affondata nel 1944 da un bombardamento americano che fece quasi tremila vittime. Al filone della cultura giovanile si riallaccia invece Always – Sunset on Third Street – il secondo film più amato dal pubblico di Udine. “Non solo la fonte qui è un manga apparso per la prima volta nel 1973 e tuttora pubblicato, ma il regista viene dalla televisione, dove ha lavorato a serie di forte richiamo popolare. Inoltre, – continua Shiota – non è casuale che il film sia stato prodotto da Toho, società che ha il suo punto di forza nella computer graphics: Always riesce ad essere un affresco minuzioso della Tokyo degli anni Cinquanta – di cui esprime lo stile di vita distantissimo da quello della megalopoli attuale – utilizzando la tecnologia usata normalmente per i film di fantascienza”.
Ancora ai manga, del tipo “per ragazze”, si ispira un altro dei film più visti dai Giapponesi nel 2005 e ugualmente apprezzato a Udine: si tratta di Nana, opera sull’amicizia femminile, che ha fruttato al botteghino nipponico circa 30 milioni di euro. Al linguaggio dei videogiochi sembra invece avvicinarsi Shinobi, che peraltro attinge la storia da un romanzo, mentre Siren, uno dei successi dell’inizio del 2006, è un “horror” che si rifà esplicitamente a un gioco della Sony Computer Entertainment. Una fortunata serie televisiva di natura poliziesca (Bayside Shakedown) è all’origine di produzioni cinematografiche “nazional-popolari” che nel 2005 hanno avuto come risultato The Negotiator e The Suspect, che hanno grandemente contribuito all’incremento della quota di mercato del film giapponese. E anche se fuori dal Giappone, a parte Il Castello Errante di Howl, strepitoso successo in patria ed eccellente affermazione sul mercato internazionale, non si è visto molto, Shiota è piuttosto ottimista sul futuro del cinema giapponese: “Dal 2000 le nostre produzioni per la sala sono aumentate in quantità e in qualità. Per stimolare il consumo di cinema ci vogliono idee nuove: mi pare che in questo senso ci sia in Giappone una tendenza molto positiva. E se è vero che film giapponesi con attori giapponesi non viaggiano facilmente all’estero, penso tuttavia che ci sarà un incremento della vendita dei diritti per i remakes”. E anche se nessuno osa ammetterlo apertamente, tutti gli addetti ai lavori accarezzano l’idea che al cinema giapponese, che pare essere riuscito a farsi interprete dei contenuti e delle forme della cultura popolare giovanile, riesca la stessa impresa riuscita alla musica, dove il cosiddetto jpop è riuscito a scalzare il predominio straniero.

Elisabetta Brunella