Il
film di Marc Rothemund sulla Rosa Bianca tedesca – candidato all’Oscar
2006 e in uscita in questi giorni nelle sale italiane – mette al
centro lei, Sophie Scholl, l’unica ragazza del gruppo, la più
giovane – 21 anni in fiore –, e racconta i suoi ultimi giorni:
l’organizzazione del volantinaggio nell’università
di Monaco, l’arresto da parte della Gestapo, l’interrogatorio,
il processo, la condanna a morte insieme al fratello Hans e all’amico
Cristoph Probst (gli altri componenti del gruppo, Alexander Schmorell,
Willy Graf, Heins Leipelt e il professor Kurt Huber, furono giustiziati
nei mesi successivi). La storia di Sophie Scholl commuove profondamente.
È la storia di una novella Antigone. Come allora anche qui è
una ragazza a svelare la natura sacrificale del potere che si vuole assoluto
e ad opporsi a esso nel nome della libertà (“Freiheit”,
“Libertà”, scrive Sophie sul retro dell’atto
di imputazione poche ore prima di essere giustiziata).
In ogni regime totalitario il capo si colloca sempre al di sopra di ogni
giustizia. Il tiranno Creonte lo dice a chiare a lettere: “Colui
che la città si è scelto per guida, lui bisogna ascoltare,
anche nelle cose di minor conto, e in ciò che è giusto e
che giusto non è (..perché) non esiste danno più
grande dell’anarchia.” Ma proprio questo Antigone non accetta:
“Io non credevo che i tuoi divieti fossero tanto forti da permettere
a un mortale di sovvertire le leggi non scritte, inalterabili, fisse degli
dei: quelle che non da oggi, non da ieri vivono, ma eterne”.
Nemmeno Sophie accetta di piegarsi alla logica di un potere, di un fuhrer
che si rivela mostro affamato di sacrifici umani, che sparge distruzione
e guerra. “Era nostra convinzione – scrive Sophie dopo Stalingrado
– che la guerra per la Germania sia perduta e che ogni vita umana
che viene offerta per questa guerra perduta sia sacrificata invano. In
particolare le vittime richieste da Stalingrado ci hanno indotto a intraprendere
qualcosa contro questo spargimento di sangue, a nostro parere insensato.”
Sophie rifiuta un potere che richiede come prova di fedeltà il
tradimento del fratello, che vuole recidere ogni legame dell’individuo
con un altro, perché vuole che l’individuo sia legato solo
a sé. Ogni altro legame, in quanto legame, è sovversivo.
E perciò va reciso, eliminato. “Anche se non capisco molto
di politica, e non ho nemmeno l’ambizione di capirla, tuttavia possiedo
un pochino il senso di cosa è giusto e di che cosa è ingiusto,
perché questo non ha nulla a che fare con la politica e la nazionalità.
E mi viene da piangere, per come sono crudeli gli uomini nella grande
politica, come tradiscono i loro fratelli solo per averne un vantaggio.”
Quella di Sophie – come quella di Antigone – non è
una semplice solidarietà familiare. Qui la fraternità abbraccia
il proprio popolo, abbraccia tutti gli uomini. Il fratello è il
volto dell’uomo concreto che la giustizia impone di non tradire.
La giustizia esige il trattamento uguale di tutti gli uomini. Il potere
assoluto distingue in modo totale e radicale i nemici dagli amici, per
la vita e per la morte. “Le leggi di Ade eguagliano tutti“
– cerca di dire Antigone a Creonte, ma Creonte risponde: “il
nemico non è un amico, neppure da morto”. E Antigone: “Io
esisto per amare, non per odiare”. Anche Sophie esiste per amare
ed è difficile trovare nei suoi scritti, e negli scritti in genere
della Rosa Bianca, parole di odio. Il fratello Hans lo dirà chiaramente
anche dopo la condanna: “Non c’è odio in me. Mi sono
lasciato tutto, tutto dietro le spalle”. La loro ribellione è
per amore, potremmo dire con Teresio Olivelli.
Ma per giungere a questa ribellione occorreva aver combattuto spiritualmente
a lungo contro tutto ciò che poteva, alla radice, minare la resistenza.
Il primo avversario è per Sophie l’indifferenza. Così
scrive al fidanzato: “Basta che tu non diventi un tenente arrogante
e indifferente (Scusami!). Ma il pericolo di diventare indifferenti è
grande. E se potessi, continuerei sempre più a pungolarti contro
l’indifferenza che potrebbe assalirti, e vorrei che i pensieri rivolti
a me fossero una spina costante contro l’indifferenza.”
C’è in lei la paura di non sentire più niente, di
non avere più fame e sete di giustizia, di finire nel vuoto, in
un’esistenza insensata e insipida. Esiste infatti un legame molto
stretto tra l’affermarsi dello Stato totale che riempie ogni cosa
e lo svuotamento dell’anima. Oggi lo Stato totale non c’è
più, ma al suo posto c’è la società totale
che lavora senza indugio per lo stesso svuotamento. C’è in
Sophie il timore di perdere la propria anima. Sì, l’anima
si può smarrire. Non è necessario credere in un inferno
ultraterreno per riconoscere che vi sono uomini e donne che hanno smarrito
la propria anima. Si può smarrire nella massa: per questo Sophie
avverte la “massa” come una minaccia esistenziale, come qualcosa
che ti può inghiottire e soffocare, come qualcosa che ti può
trascinare in basso, nella volgarità. Sophie ha avuto il coraggio
e la forza di difendere la sua anima dalla massa, anche attraverso l’isolamento
e la marginalità:
“Spesso non mi auguro nient’altro che di vivere in un’isola
da Robinson Crusoe. A volte sono tentata di considerare l’umanità
come una malattia della pelle della terra. Ma solo qualche volta, quando
sono molto stanca, e mi vedo davanti uomini così grandi che sono
peggiori delle bestie. In fondo però si tratta solo di tener duro,
di resistere, nella massa che non tende a null’altro che al proprio
tornaconto. Per loro, per raggiungere questo obiettivo, ogni mezzo è
giusto. Questa massa è così travolgente, che si deve essere
già cattivi semplicemente per restare in vita. Probabilmente solo
un uomo finora è riuscito a percorrere tutta la strada, dritto
fino a Dio. Ma chi la cerca ancora, oggi?”
Ripeteva a se stessa e agli altri le parole di Goethe ”a dispetto
di ogni violenza resistiamo” e faceva questo continuo lavoro su
di sé per corazzare lo spirito dalle influenze esterne. “Mi
sforzo di mantenermi il più possibile intatta dagli influssi del
momento. Non da quelli ideologici e politici, che certo non mi fanno più
effetto, ma anche dagli influssi di umore. Il faut avoir un esprit
dur e le coeur tendre (bisogna avere un cuore tenero e uno spirito
duro). “
È questo cuore tenero e spirito duro che ancora oggi onoriamo,
noi che purtroppo troppo facilmente ci rassegniamo al contrario, ad avere
uno spirito molle e un cuore duro. E il fatto che Sophie Scholl sia arrivata
fino in fondo alla sua strada è il suo onore e la nostra speranza.
Per ogni Creonte c’è un’Antigone, per ogni Enrico VIII
c’è un Tommaso Moro, per ogni Hitler c’è una
Sophie Scholl e molti altri. Non c’è tirannide che non sia
stata sconfitta da una coscienza in piedi. Il regime di Hitler prima di
crollare sotto i colpi delle armate alleate era qui spiritualmente crollato.
E da qui poteva partire la ricostruzione.
Bonhoeffer, un altro grande resistente impiccato nel carcere di Flossemberg
nell’aprile 1945, diceva che alla sua generazione era stato affidato
il compito “non di cercare grandi cose ma di salvare la nostra anima
dal caos e vedere in essa l’unica cosa che possiamo trarre come
‘bottino’ dalla case in fiamme”, secondo le parole del
profeta Geremia “tu vai cercando grandi cose per te? Non le cercare!
Perché, vedi, io manderò la sventura su ogni uomo. Ma a
te darò la tua anima come bottino, ovunque tu vada” (Ger
45,4-5).
È cercando questo bottino che Sophie Scholl ha salvato la propria
anima e l’onore del suo popolo.
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